PESARO - Aggrediti, picchiati e derubati perché per il branco lo smalto nero sulle unghie di un ragazzo non era accettabile. Ieri davanti al gup le due vittime si sono costituite parte civile nel processo che troverà il suo epilogo con la sentenza del 29 novembre. L’assalto nei pressi della Rocca malatestiana di Fano i primi di maggio.
Secondo quanto ricostruito, i due giovani amici Simone Pasquino e Luigi Lupini, sono stati avvicinati da alcuni ragazzi che li hanno presi in giro prima per il ciuffo bianco, poi per lo smalto nero sulle unghie di Luigi. Con un accendino volevano dargli fuoco per toglierlo. Poi gli hanno strappato le collane. L’amico Simone è intervenuto per cercare di fermarli. Gli hanno sferrato un pugno in faccia, poi calci in bocca, alla schiena, al braccio, ovunque tanto da rompergli il naso (30 giorni di prognosi). Le indagini hanno portato a identificare i giovani, tra cui un ragazzo originario di Ancona. Il commissariato di Fano, il 24 giugno, ha eseguito 3 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti giovani, che facevano parte del gruppo. Si tratta di un moldavo, noto alle forze dell’ordine e ritenuto il leader che ha scelto il dibattimento davanti al collegio di Pesaro.
Poi un italiano di origine nordafricana già ospite di una comunità educativa e un marocchino: i due sono ai domiciliari ma all’epoca erano stati condotti in carcere.
La famiglia di Simone ha scritto un messaggio sui social: «Noi non abbiamo paura. Noi vi guardiamo in faccia senza alcun timore. Inizia il processo contro parte del branco che l’8 maggio ha barbaramente e selvaggiamente picchiato nostro figlio Simone. La sua inaccettabile colpa, agli occhi del vile gruppo, è stata l’aver difeso il suo amico Luigi da un’aggressione ignobile e criminale: l’aver impedito che dessero fuoco alle dita con lo smalto nero di Luigi è stato un affronto che il branco ha voluto far pagare a Simone con un brutale pestaggio.
La violenza ed insistenza dei loro colpi sulle parti vitali del corpo è stata tale che il nostro Simone si era rassegnato a morire. Immaginate cosa possa significare per la nostra famiglia la consapevolezza di essere stati così vicini al perdere il proprio figlio neanche diciottenne per la violenza di un gruppo di criminali. In quei momenti la telefonata al 112 di cittadini perbene (a cui andrà la nostra eterna gratitudine) ha interrotto le inaudite violenze e di fatto ha salvato la vita a Simone. Nei giorni successivi la vicinanza della gente è stata la medicina migliore per curare le ferite dell’anima e per aiutarci a costruire una solida corazza».