PESARO - Omicidio Malipiero, fissata al 16 giugno la Cassazione che deciderà sull’ergastolo comminato a Zakaria Safri. E ieri mattina il 41enne marocchino doveva rispondere di un’altra accusa, quella di minacce a un agente della polizia penitenziaria. Il fatto risale al maggio 2019 e secondo l’accusa Safri pretendeva la consegna di un pacco postale a lui indirizzato. Ma secondo il regime carcerario avrebbe potuto ritirare la posta solo un paio di giorni dopo. Su tutte le furie ha iniziato a intimidire la guardia carceraria con frasi come «Ti ammazzo, ti spacco la faccia» conditi da altri insulti e turpiloqui.
Giudice monocratico
L’agente non ha lasciato passare la cosa sotto traccia e Safri è finito a processo davanti al giudice monocratico del tribunale di Pesaro con l’accusa di minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri. Reato che prevede una pena fino a tre anni.«E’ stato ascoltato l’agente di polizia penitenziaria – spiega l’avvocato Gianluca Sanchini – un udienza per noi positiva perché Safri era appena tornato in cella dopo aver ascoltato la sentenza di ergastolo in primo grado.
Tre anni fa
Un omicidio maturato in un contesto di un debito verso Sabrina con una «marca femminicida». In primo grado e in appello sono state sottolineate alcune «evidenze scientifiche. A partire dal dna di Safri trovato sotto le unghie di Sabrina. Ma anche sui coltelli con cui l’ha uccisa. Perché Safri si è ferito durante la colluttazione e ha lasciato il suo sangue. Prove definite «oggettive, inconfutabili, formidabili» dalla pubblica accusa. E ancora la questione delle immagini di videosorveglianza di una macelleria che vedono Safri arrivare in via Pantano alle 15,12. Sabrina manderà l’ultimo messaggio alle 15,27 poi dalle 16,12 il suo telefono suonerà a vuoto. Il lasso di tempo in cui è stata uccisa.
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