I giovani vogliono fare gli chef, poi per vivere lavorano in fabbrica

I giovani vogliono fare gli chef, poi per vivere lavorano in fabbrica
I giovani vogliono fare gli chef, poi per vivere lavorano in fabbrica
di Miléna Bonaparte
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Lunedì 1 Maggio 2023, 05:55 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 11:06

PESARO - Non solo una Festa del lavoro all’insegna della solidarietà dei sindacati con le terre alluvionate. Oggi  sfilata e comizio di Cgil, Cisl e Uil Marche a Cantiano  insieme ai 50mila euro donati per la sala incontri da riaprire alla comunità ferita. Questo Primo Maggio, che arriva a due giorni dall’inizio ufficiale della stagione balneare, è pure l’occasione per dire ancora una volta no al lavoro occasionale, povero, senza diritti che tocca il record nella schiera sempre più decimata di stagionali con i loro contratti precari e sottopagati in hotel, ristoranti, spiagge, bar, gelaterie.
Se ne fa portavoce il segretario generale della Cgil di Pesaro Urbino: troppa occupazione senza garanzie per il futuro che preoccupa Roberto Rossini.


I fronti aperti


«Solo il 30% dei ragazzi diplomati nei nostri due istituti alberghieri, al Santa Marta e Celli di Piobbico, lavora come chef e cuoca, per non parlare di camerieri, lavapiatti, addetti alle pulizie, commessi nei locali estivi - spiega il rappresentante sindacale -.

Conosco ottimi professionisti della ristorazione con una lunga esperienza alle spalle che, per mettere su famiglia e pagarsi la casa, avendo bisogno della garanzia di una retribuzione certa, vanno a fare gli operai per esempio alla Ifi o nel settore della manifattura. Sono più della metà dei diplomati. Gli stagionali vanno di pari passo con il precariato, rispetto a diversi anni fa c’è stata un’autentica rivoluzione».

Sarebbe ora di finirla, chiarisce la Cgil, con il lamento degli imprenditori sui giovani che non hanno voglia di lavorare: «Se gli alberghi faticano a trovare manodopera la colpa è soltanto la loro - afferma senza mezzi termini -. Qualora i titolari iniziassero a pagare stipendi dignitosi, applicando contratti regolari, le cose andrebbero diversamente, ci sarebbero più interesse a svolgere i lavori stagionali e maggiore rispetto per la dignità delle persone». L’emergenza suggerisce la necessità di ripensare a questo tipo di occupazione che, oltre a essere poco remunerativa, è soprattutto dura e stressante. Una volta chi faceva la stagione estiva, per esempio un cameriere, riusciva ad aprire un mutuo per la casa, mentre ora l’abbassamento del costo del lavoro e una marea di contratti precari «non offrono alcuna prospettiva, perché con l’intento della flessibilità si sono create solamente incertezza e disoccupazione». Insieme al lavoro estivo stagionale, anche quello interinale nella sanità, part time, a chiamata, di somministrazione, gli stage e le collaborazioni. Il precariato diffuso domina, un lavoro grigio pagato una miseria e senza tutele che sfugge a ogni controllo al pari del nero.


«La mancanza di un reddito e condizioni di lavoro sulle quali contare per la pianificazione della vita fa davvero paura - afferma il segretario Cgil -, spesso è difficile svolgere il lavoro per il quale si studia e la prospettiva è un continuo precariato. Se un datore di lavoro paga 800 euro per 12 ore al giorno, si preferisce andare in fabbrica oppure ripiegare su quel che resta del reddito di cittadinanza».


L’ex locomotiva delle Marche


E mentre finisce di preparare la manifestazione di oggi a Cantiano, per celebrare anche i 75 anni della Costituzione, Roberto Rossini si toglie tutti i sassolini dalla scarpa sulla provincia di Pesaro Urbino che non è più la «locomotiva delle Marche, con imprenditori e politici che non sono capaci di buttare il cuore oltre l’ostacolo, mancano il coraggio e la voglia di cambiare, siamo una comunità che litiga su tutto, dove anche un biodigestore diventa una centrale atomica e intanto gli ordinativi delle imprese metalmeccaniche si stanno dimezzando, mentre aumentano la cassa integrazione e i tagli di impiegati e tecnici». Un auspicio per questo Primo maggio in chiave stagional-balneare: gettare l’ancora sì, ma nel futuro. 
 

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