Fano, Cassazione: «Lisippo italiano
Non ci fu buona fede del Getty Museum»

Fano, Cassazione: «Lisippo italiano Non ci fu buona fede del Getty Museum»
di Silvia Sinibaldi
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Giovedì 3 Gennaio 2019, 10:49
FANO - Bruciando i tempi, che si annunciavano ignoti, la Corte di Cassazione, a un mese dalla sentenza del 30 novembre scorso, che ha rigettato l’ultimo ricorso del Getty Museum, ha reso note le motivazioni per le quali è stata decretata la confisca del Lisippo e il ritorno del capolavoro in Italia.

«È stato connotato - scrive il consigliere della Suprema Corte Andrea Gentili - da «inspiegabile e ingiustificabile leggerezza» il comportamento del Getty Museum che acquistò la statua di Lisippo sulla base di pareri sulla sua lecita provenienza espressi solo dai consulenti del venditore nonostante «l’autorevolissimo partner» che aveva affiancato il Getty nella trattativa, il Metropolitan Museum di New York, si fosse sfilato nutrendo «perplessità». Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni di conferma della confisca della statua che fece il suo ingresso negli Stati Uniti quando arrivò, via nave, nel porto di Boston nell’agosto del 1977, dopo il decesso del magnate Jean Paul Getty che l’aveva fortemente voluta. L’opera era rimasta per un breve periodo al Museo delle Belle Arti di Boston, e poi trasferita al museo di Denver in Colorado, per arrivare dove ancora si trova, al Getty Museum di Malibù in California.
  
«Chiedere conferme in ordine alla legittimità di una compravendita a soggetti che, seppure ampiamente qualificati professionalmente, erano istituzionalmente preposti alla tutela degli interessi del venditore, costituisce comportamento, per l’acquirente, connotato da una inspiegabile ed ingiustificabile leggerezza», sottolinea la sentenza n. 22, tra i primi verdetti dell’anno nuovo. Aggiungono gli ermellini, respingendo il ricorso di Stephen Clark - rappresentante del Getty Trust - contro l’ordinanza di confisca emessa dal Tribunale di Pesaro l’otto giugno 2018 dopo un contenzioso durato anni, che il museo americano aveva la «sicura consapevolezza della pregressa esistenza di un articolato contenzioso penale». Inoltre, dal Getty era ovvio esigere la «doverosa conoscenza della normativa italiana in tema di esportabilità e commerciabilità dei beni culturali» e il museo avrebbe potuto avere «informazioni meno di parte» rivolgendosi alle autorità competenti sui beni artistici e culturali. È da escludere che l’acquisto di questo capolavoro dell’antichità classica sia stato «improntato al canone della buona fede». Inoltre la Cassazione rileva che non c’è dubbio che la statua di Lisippo appartenga al patrimonio artistico italiano, fatto messo in dubbio dalla difesa di Clark. «L’opera è stata rinvenuta da un peschereccio italiano ed issata a bordo, già in tal modo entrando all’interno del territorio nazionale» nell’estate del 1964 quando venne sbarcata a Fano, premette la Cassazione aggiungendo che l’appartenenza della statua all’Italia è giustificata ancor più da quella «continuità culturale che ha, fin dai primordi del suo sviluppo, legato la civiltà dapprima italica e poi romana alla esperienza culturale greca, di cui quella romana può dirsi continuatrice».
 
«Non si tratta solo di leggerezza, di mancanza della due diligence, a nostro avviso il Getty Museum ha agito con piena consapevolezza che quello del Lisippo era un acquisto illecito» ha detto l’avvocato Tristano Tonnini, legale dell’associazione culturale Le Cento Città, che nel 2007 con un esposto alla Procura di Pesaro lanciò la lunga battaglia per far rientrare in Italia la statua bronzea del IV sec. a.C., ripescata da un peschereccio fanese nel 1964. La sfida lanciata dalla piccola associazione culturale al gigante rappresentato dal Getty Museum sembrò all’epoca un tentativo velleitario. Ma Le Cento Città si sono viste dare ragione per tre volte dalla giustizia italiana, l’ultima, lo scorso giugno, con un decreto immediatamente esecutivo del gip di Pesaro Giacomo Gasparini di confisca del bene «ovunque esso si trovi», perché si tratta di patrimonio dello Stato e quindi indisponibile. «È la vittoria di Davide contro Golia», è il commento di Alberto Berardi, ex presidente dell’associazione .
 
I legali del Getty Museum, il giorno stesso della sentenza hanno annunciato la ferma intenzione di non mollare la presa. Potrebbero rivolgersi alla Corte europea per i diritti umani o a un tribunale statunitense. Lisa Lapin, dirigente del museo di Malibù sostiene infatti che l’ordine di confisca sia contrario alla legge americana e al diritto internazionale. Intanto però la giustizia italiana segue il suo corso.
Resta il fatto che, se la Corte europea accogliesse l’istanza del Getty, potrebbe imporre una sanzione risarcitoria all’Italia ma non invalidare l’iter della confisca. Ma ora che sono state depositate le motivazioni della sentenza la procura di Pesaro promuoverà la rogatoria internazionale con l’assistenza del ministero della Giustizia e il Getty Museum potrebbe scegliere di resistere contro la rogatoria davanti al giudice americano, utilizzando le stesse eccezioni respinte in Italia.
 
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