Suicidio di Eneas in carcere a Pesaro, 8 anni dopo la Corte europea dei diritti umani condanna lo Stato: la sorella sarà risarcita con 33mila euro

Violato il diritto alla vita e a non subire trattamenti inumani e degradanti. Il tribunale di Pesaro aveva archiviato il caso

Suicidio di Eneas in carcere a Pesaro, 8 anni dopo la Corte europea dei diritti umani condanna lo Stato: la sorella sarà risarcita con 33mila euro
Suicidio di Eneas in carcere a Pesaro, 8 anni dopo la Corte europea dei diritti umani condanna lo Stato: la sorella sarà risarcita con 33mila euro
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Giovedì 20 Aprile 2023, 15:44 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 09:49

Lo chiamavano tutti Eneas, aveva 29 anni ed era arrivato in Italia dal Marocco. Nonostante una lunga serie di problemi psichiatrici  Anas Zemzam, questo il suo vero nome, era finito in carcere a Villa Fastiggi dove, il 29 settembre del 2015 si è tolto la vita

La condanna

Oggi i Il governo italiano ha riconosciuto davanti alla Corte europea dei diritti umani che le autorità dello Stato sono responsabili del suicidio di un detenuto, Anas Zemzami, avvenuto nel carcere di Pesaro il 25 ottobre del 2015.  Sono stati gli avvocati Fabio Anselmo e  Antonella Mascia a presentare il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo l'archiviazione dell'inchiesta aperta al tribunale di Pesaro, in una comunicazione alla Corte di Strasburgo Roma afferma di aver violato il diritto alla vita e a non subire trattamenti inumani e degradanti di Anas Zemzami, e che verserà alla sorella 32mila euro per danni morali e altri 1.000 per coprire le spese legali che ha sostenuto.

La battaglia

A perorare la causa di Anas Zemzami alla Cedu è stata proprio la sorella.

Il 2 marzo del 2020 ha presentato un ricorso in cui sosteneva che le autorità non avevano preso tutte le misure necessarie a proteggere la vita di Anas e che le indagini sulla sua morte sono state inefficaci. Inoltre la donna afferma che le autorità carcerarie, attraverso il trattamento riservato al fratello prima del suicidio, e in particolare la presunta incapacità di fornirgli cure mediche tempestive e adeguate, l'hanno sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. La sorella di Anas non voleva accettare la dichiarazione di colpevolezza del governo italiano e avrebbe preferito che la Cedu proseguisse l'esame del caso, soprattutto perché Roma non si è impegnata a riaprire un'indagine su quanto è accaduto prima del suicidio di Anas. Ma a questo proposito la Cedu ha evidenziato che la sua decisione di accettare la dichiarazione del governo «non esime le autorità italiane dal loro obbligo di condurre un'indagine approfondita ed efficace per far luce sui fatti, anche in considerazione del fatto che l'Italia ha riconosciuto la violazione dei diritti di Anas».

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