Coiffeur ed estetiste, il lavoro nero rischia di incidere per il 30%. C’è chi intravvede una soluzione affittando poltrone e cabine

Un'estetista al lavoro in un'immagine di archivio
Un'estetista al lavoro in un'immagine di archivio
di Véronique Angeletti
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Domenica 23 Gennaio 2022, 07:30

PESARO - Associazioni e professionisti del settore non hanno dubbi: l’imposizione del Green pass agli acconciatori e alle estetiste favorirà sicuramente l’abusivismo e il lavoro in nero. Una concorrenza sleale che, per la categoria, crea un danno economico quantificabile ad un terzo del fatturato in un momento in cui il comparto sta cercando di recuperare le perdite subite per la pandemia nel 2020. Parrucchieri e barbieri hanno subito una flessione del 22,5% e le estetiste del 29%.

Ma se il settore chiede a gran voce più controlli dall’altra s’interroga su come intervenire per limitare il problema. «Sono momenti come questi in cui si registrano maggiore fragilità sanitaria, psicologica ed economica, che il “lavoro nero” prende ancora più piede – entra nel merito Luca Casagrande, responsabile del settore bellezza della Confartigianato –. Di fatto, durante il lockdown avevamo chiesto un’attenzione specifica, tanto più che c’è di mezzo la salute». 


La flessione
Spiega che il rapporto operatori regolari-abusivi è di 1 a 3 per i parrucchieri e di 1 a 1 nel campo dell’estetica, e il lavoro si svolge in condizioni spesso non a norma dal punto di vista igienico-sanitario. «Non sono le tasse il deterrente, poiché evolve in funzione del fatturato, ma i costi da sostenere, gli investimenti in attrezzature, le spese per tutti gli adempimenti, come pure scoraggia la burocrazia». Casagrande propone di non più lanciare appello al senso collettivo ma ribaltare andare a fare concorrenza sul proprio campo all’abusivo. «Ossia non più considerare il salone come un luogo da cui il parrucchiere, il barbiere e l’estetista non si possano muovere ma estendere per legge la possibilità ai professionisti di lavorare presso il domicilio dei loro clienti». Un vincolo su cui l’associazione di categoria sta lavorando.

«Questa misura – conclude – è intelligente dacché va nell’interesse del cliente che ha la possibilità far venire a casa un professionista che gli garantisce un certo livello di lavoro e di prodotti».

Perché gli abusivi non sono professionisti improvvisati. Spesso sono ex acconciatori o ex estetiste che continuano a lavorare abusivamente, allestendo veri e propri negozi in casa o girando con la valigetta. Oppure dipendenti di saloni che, dopo l’orario lavorativo, vanno ad eseguire le prestazioni a domicilio o diplomati che non hanno i mezzi e le garanzie per aprire una propria attività. Lorenzo Cerioni, hair stylist che con i fratelli Paola, Aurelio e Daniela gestiscono tre saloni tra Fano e Fermignano, fa tutt’altra proposta.

«Noi – osserva - abbiamo fatto della nostra passione un lavoro che si è sviluppato in un’azienda. Con corsi ed eventi abbiamo perfezionato tecniche per essere sempre aggiornati e arricchito la nostra professionalità. Il che ha generato quel mix di competenze ed empatia fondamentali nel rapporto con il cliente. I tempi purtroppo sono cambiati. Spetta a noi creare le condizioni affinché sia possibile consentire ai giovani professionisti di mettersi in regola ed ideare nuove forme di collaborazione». Propone di trasformare in una legge “l’affitto della poltrona” o “l’affitto di cabina”.


La proposta
«È un format – incalza l’Hair Stylist - che va a favore di tutti. Del titolare del salone, che ha già un’attività molto strutturata e riesce a recuperare parte delle sue spese; del cliente che si affida alle cure della persona che ha scelto ma in un ambiente attrezzato, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e più di tutto consente all’abusivo di iniziare un’attività autonoma senza impegnarsi in tante spese». L’idea va ben oltre la solita condivisione di un ufficio. Si tratta di coworking ed è già in atto negli States e in alcuni paesi europei. «Fa nascere – osserva - un nuovo tipo di relazioni interpersonali». Insomma, con la pandemia si fa “di necessità virtù” , il che fa nascere nuove comunità. Un cambiamento che necessita tuttavia di una disciplina precisa affinché non nasconda un rapporto di lavoro dipendente. 

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