I prigionieri Covid del "finto" centro commerciale: «Chiusi nel weekend, persi 4mila euro»

Vallefoglia, i prigionieri Covid del "finto" centro commerciale: «Chiusi nel weekend, persi 4mila euro»
Vallefoglia, i prigionieri Covid del "finto" centro commerciale: «Chiusi nel weekend, persi 4mila euro»
di Gianluca Murgia
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Lunedì 9 Novembre 2020, 09:27

VALLEFOGLIA - L’ha acquistato lo scorso febbraio da una famiglia cinese ma, per poterlo inaugurare, ha dovuto aspettare giugno. Ora Luca Mancini, titolare del Caffè della Fortuna, è uno dei negozianti prigionieri dei “finti” centri commerciali.

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Il suo locale, licenza alla mano, fa parte tecnicamente del complesso “CentoVetrine” di Morciola di Vallefoglia ma, nei fatti, ha un ingresso e uscita indipendenti che danno sull’esterno. 

«L’abbiamo saputo venerdì»

Morale? «Venerdì pomeriggio abbiamo saputo che sabato e domenica saremmo dovuti restare chiusi: abbiamo perso 4 mila euro e domani è giorno di stipendi per i miei 5 dipendenti e le loro famiglie. Chi paga?» si chiede Mancini, primo impiego alla Rivalcold, già gestore del circolo di Bottega e, da 5 mesi, capace di riportato il Caffè della Fortuna ai fasti passati organizzando eventi coinvolgenti, musica dal vivo all’aperto e servizi continui che vanno dalla colazione all’orario di chiusura. «Che ora è alle 18 - ricorda Mancini -, quando gli operai escono dal lavoro. Di fatto ora lavoriamo solo con le colazioni e nel weekend. Se ci tolgono anche questo non possiamo campare di promesse. Io non pago con le promesse, servono i soldi. L’errore sta nel Dpcm, nato male e interpretato peggio. La definizione di centro commerciale, senza specificare quelli in galleria, tipo Iper Rossini o IperCoop, ha colpito anche chi come noi ha negozi esterni. Al CentoVetrine ci sono 5-6 negozi, tutti esterni e con propri numeri civici, che tengono in vita questo comprensorio». La consigliera Regionale Micaela Vitri, sabato, ha sollevato il “caso Vallefoglia”, dove ci sono sei “centri commerciali”: 4, in base alle licenze, sono stati costretti alla chiusura. Gli altri due, del tutto simili, sono stati invece abilitati all’apertura. 
Oggi ne parlerà con l’assessore competente Mirco Carloni.

I controlli della polizia locale non sono mancati: alcuni esercizi, non a Morciola, avrebbero tentato di aprire comunque. «Spero che Carloni faccia qualcosa al più presto - continua Mancini, metalmeccanico con la passione da barman -, così si distruggono le attività. Noi durante la settimana fatichiamo a sopravvivere, aspettiamo il weekend per lavorare. Chiudendo alle 18 ci siamo inventati nuovi eventi a pranzo, sempre in sicurezza, sabato e domenica. Ne avevo due in programma, abbiamo dovuto disdire tutto. Avevamo ideato un aperipranzo itinerante: visto che non si può girare tanto, portavamo noi qui piatti tipici, bianco, rosso e bollicine. Dovevamo partire con la Regione Marche. I fornitori avevano già consegnato: ora ho il locale pieno di prodotti non consumati, senza contare i disagi con clienti anche per le colazioni. I molti mi hanno chiamato chiedendo se fosse vero». Paradossale: chiusi per un centro commerciale che esiste solo nella licenza.

«Ho 5 dipendenti, chi paga?» 

«Ho fatto un grande sforzo economico per rilevare questo locale e riportarlo a guida italiana. Ero innamorato di questo posto. Abbiamo lottato tutta l’estate, sempre rispettando le norme anti covid, sfruttando i nostri spazi esterni. Ora ci tocca pagare anche la burocrazia. Ho parlato con Ucchielli, poi con il dirigente dell’Unione Emanuele Montanari. Non abbiamo trovato cavilli per poter lavorare nel weekend. Una doccia fredda: nessuno ci ripagherà più di quanto perso. E domani (oggi, ndr) siamo di nuovo dietro al bancone alle 5 di mattina, senza giorni liberi, per sopravvivere». 

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