Cassa integrazione in ritardo e figli a casa: nella meccanica la vera impresa è tornare al lavoro

Pesaro, cassa integrazione in ritardo e figli a casa: nella meccanica la vera impresa è tornare al lavoro
Pesaro, cassa integrazione in ritardo e figli a casa: nella meccanica la vera impresa è tornare al lavoro
di Luigi Benelli
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Giovedì 14 Maggio 2020, 05:50 - Ultimo aggiornamento: 19:29

PESARO - La meccanica, il settore trainante della provincia di Pesaro. Ma nella fase 2 ecco le criticità: la cassa integrazione non pagata, il lavoro davanti a macchinari ad alta temperatura con la mascherina e il fatto di non sapere a chi lasciare i figli visto che gli asili e le scuole sono chiuse. E non da ultimo il fatturato, con la previsione di un segno meno molto importante.

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Un settore che è fiore all’occhiello che porta in termini di fatturato con l’estero cifre importanti per il territorio. Valori come 567 milioni per prodotti in metallo escluse le macchine, 545 milioni per le macchine e impianti su un totale di 2 miliardi di euro di export della provincia.
 
A parlarne è Fabrizio Bassotti, segretario generale provinciale della Fiom Cgil. «La fase due per i metalmeccanici è iniziata prima del 4 maggio in quanto la maggior parte delle aziende hanno fatto richiesta al Prefetto per la riapertura anticipata. Le difficoltà per i lavoratori, in questo periodo di “ripartenza” sono tantissime. Anzitutto ci sono quelle economiche legate alla cassa integrazione che pur essendo prevista non è stata ancora erogata perché molte aziende non sono state in grado di anticipare l’indennità e hanno previsto il pagamento diretto da parte dell’Inps che a causa della burocrazia ritarda nei pagamenti».
Gli altri nodi
Ma non è l’unico nodo. Perché tornare in fabbrica «è un problema per le lavoratrici e i lavoratori che non sanno a chi lasciare i figli, visto che le scuole sono chiuse – sottolinea Bassotti - Altro problema è l’uso della mascherina che rende molto più faticoso il lavoro in fabbrica, e lo sarà ancora di più con l’arrivo del caldo. Abbiamo registrato anche problemi di mobilità: non si può più andare al lavoro con i mezzi pubblici o il car-sharing e naturalmente per i lavoratori aumentano le spese». Il futuro è incerto, a partire dai fatturati. «Tutti i mercati mondiali sono fermi, compreso il nostro mercato interno: già si registra un crollo drammatico della produzione industriale con previsioni di chiusura dell’anno 2020 con un Pil a -10% circa». In mezzo a queste problematiche c’è la questione fondamentale della sicurezza. «Nelle fabbriche del nostro territorio la situazione non è affatto omogenea poiché ci sono aziende scrupolosissime dove abbiamo protocolli che aggiorniamo continuamente e di cui verifichiamo l’applicazione e altre che vorrebbero applicare gli stessi protocolli ma non sono in grado di farlo obbligandoci così a segnalare inadempienze alle autorità competenti. Inoltre c’è il grandissimo problema di tutte quelle aziende dove il sindacato non è presente. Questo vuol dire che in quei luoghi di lavoro non esiste neanche l’ombra di un controllo e di ispezioni delle autorità preposte alla vigilanza». 
La vigilanza
Si chiede Bassotti: «Sarà forse un caso che il numero maggiore di contagi che si sono registrati corrispondono geograficamente a dove sono situati i maggiori distretti industriali? Servono regole e protocolli, altrimenti si rischiano focolai all’interno della fabbriche ed è chiaro che se ciò dovesse avvenire oltre al rischio per la salute dei lavoratori ci sarebbe anche il rischio che quelle aziende non riaprano più, con ricadute devastanti sul piano dell’occupazione e dello sviluppo».

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