Fase 2 Covid, ristoratori e baristi tornano in piazza: «Riaprire è un'impresa: a rischio 3 attività su 10»

Fano, fase 2 Covid, ristoratori e baristi tornano in piazza: «Riaprire è un'impresa: a rischio 3 attività su 10»
Fano, fase 2 Covid, ristoratori e baristi tornano in piazza: «Riaprire è un'impresa: a rischio 3 attività su 10»
di Véronique Angeletti
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Sabato 16 Maggio 2020, 10:44

FANO - Le toques al chiodo e le chiavi in saccoccia. Si ribellano i ristoranti e i baristi del pesarese che scendono di nuovo in piazza. A guidare la protesta il movimento trasversale #RistorItalia Marche-Umbria che, alle 18, a Fano, in piazza XX Settembre, con tutti gli accorgimenti Covid-19 dovuti, spiegherà che la riapertura non risolve i gravi problemi di un settore che rimane, in assoluto, il più penalizzato e teme che 3 attività su 10 non riescano a superare il lockdown.  

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«Impossibile riaprire le nostre attività a cuor leggero» – spiega Paolo Biagiali. Gestisce, con il padre Massimo, l’azienda di famiglia, l’Hotel Ristorante “Il Giardino”, a San Lorenzo in Campo. «La riapertura non è la fine di un problema ma è il suo inizio e, con queste condizioni, è antieconomico. Potrebbe, in poche settimane, condannare l’attività. Dobbiamo ognuno fare un piano economico finanziario che dia sostenibilità fino al 2021. L’obiettivo è arrivarci vivo e superare questa gravissima crisi strutturale».
 
Una crisi che #RistorItalia affronta chiedendo di aprire tavoli tecnici a livello istituzionale e discutere del fisco, della sicurezza dell’attività e dei dipendenti. Il fisco è come una spada di Damocle che le minaccia. Le loro attività vengono da un periodo di bassa stagione, gennaio e febbraio, sono rimaste chiuse nei mesi di marzo, aprile e maggio, e già stimano al 70% le perdite di fatturato per l’estate. La richiesta è semplice: allentare il peso di una fiscalità legata al costo del lavoro, e adeguarla a quello che davvero producono. La sicurezza dell’azienda è un altro tema che va preso di petto. Non contestano le norme di sicurezza ma chiedono che le spese di adeguamento siano in larga parte, se non del tutto, sostenute da un contributo a fondo perduto. Rappresentano investimenti ingenti in un momento di estrema fragilità e la formula del tax credit non risolve il problema finanziario. Addirittura, affrontare queste spese per alcuni potrebbe essere un suicidio. Infine, chiedono aiuto allo Stato per gestire i dipendenti. Per disinnescare una bomba sociale.

Solo nel pesarese, incluse le famiglie, si parla di almeno 15mila persone a rischio. La cassa integrazione di 14 settimane, più altre 4, non risolve i problemi. Questi aiuti finiranno a giugno quando alcune attività forse saranno ancora chiuse. E anche se ripartiranno saranno ancora solo parzialmente operative. Pertanto chiedono, come per le grandi aziende, che la cassa integrazione in deroga sia paragonata a quella ordinaria e la durata sia stabilita in base all’andamento del lavoro e del mercato. Infine chiedono di poter utilizzare il personale in base al volume sviluppato dall’attività. In piazza ad accoglierli, ci sarà il sindaco Massimo Seri, l’assessore al turismo di Fano Etienn Lucarelli, Marta Ruggeri del M5S e i consiglieri regionali Renato Claudio Minardi e Mirco Carloni come istituzioni. «Perchè – si sottolinea - #RistorItalia è un movimento orgogliosamente trasversale ed apolitico».

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