Pesaro, la mamma furiosa: «Costretta a rinunciare al lavoro, il bonus baby sitter non funziona»

Pesaro, la mamma furiosa: «Costretta a rinunciare al lavoro, il bonus baby sitter non funziona»
Pesaro, la mamma furiosa: «Costretta a rinunciare al lavoro, il bonus baby sitter non funziona»
di Gianluca Murgia
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Mercoledì 29 Aprile 2020, 10:47 - Ultimo aggiornamento: 11:04

PESARO - Mamma disoccupata costretta a rinunciare a un regolare contratto di lavoro perché non sa a chi lasciare i figli durante la giornata. Peggio di sbattere la testa contro un muro: non se ne esce.

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Perché i contratti di lavoro sono merce sempre più rara, perché rinunciare vuol dire infliggersi una botta economica e psicologica complicata da sostenere e gestire, e perché la rabbia abbraccia le misure del Governo di Giuseppe Conte. «Il Bonus Baby Sitter, messo in piedi per aiutare i genitori che lavorano è impossibile da attuare per tanti motivi» spiega la signora, 40 anni, pesarese, madre di due figli che dovrebbero andare all’asilo
 
Il Bonus Baby Sitter è la misura previdenziale una tantum, inserita del decreto Cura Italia, messa a punto dall’Inps per supportare le famiglie con figli di età inferiore ai 12 anni durante l’emergenza Coronavirus. Prevede un voucher in base all’inquadramento lavorativo dei genitori, va da 600 (privati e autonomi con partita Iva) a 1000 euro (per i lavoratori di categorie a rischio: sanità, soccorso, pubblica sicurezza ecc.) ed è alternativo al congedo parentale straordinario. Altri paletti: ogni famiglia può beneficiare soltanto di una tra le due misure e il servizio di Baby sitting non può essere svolto da un parente. In tutta Italia, a marzo, ne hanno usufruito “solo” 40mila persone. 

«Aspettavo la chiamata»
«Ho dovuto rinunciare a un contratto a termine per un lavoro d’ufficio che non può essere fatto in smart working. Aspettavo da tempo una chiamata. Dover dire di no è una beffa. Essendo a termine non ha senso pensare di investire il guadagno nella baby sitter. Altro ragionamento magari si poteva fare con un altro contratto. I 600 euro una tantum non bastano, sarei costretta a lavorare per pagare baby sitter e benzina. E poi c’è la contraddizione di fondo: con l’ultimo decreto possiamo andare a trovare genitori, nonni e parenti ma restando a distanza di sicurezza con la mascherina. Però il governo ci dà dei soldi per portare dentro casa una baby sitter che solo nella migliore delle ipotesi conosciamo ma che vive in un’altra casa, con altre persone e, ovviamente, non ha fatto tamponi e quindi potrebbe essere asintomatica e contagiosa. Impensabile che per 8 ore, in casa, che dei bimbi stiano con le mascherine e non ci sia contatto: come mangiano? Come giocano? Allora non sarebbe meglio ricorrere, in questi casi, all’aiuto dei nonni o parenti?». 

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