Umberto Carriera deve pagare, l’appello ribalta la sentenza: «La multa per il Covid non andava annullata»

Umberto Carriera deve pagare, l’appello ribalta la sentenza: «La multa per il Covid non andava annullata»
Umberto Carriera deve pagare, l’appello ribalta la sentenza: «La multa per il Covid non andava annullata»
di Luigi Benelli
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Martedì 6 Dicembre 2022, 01:35 - Ultimo aggiornamento: 7 Dicembre, 07:49

PESARO Multa e chiusura del locale dopo la cena fatta nonostante le limitazioni Covid. La sentenza d’appello ribalta oggi la “disapplicazione” del Dpcm e condanna Umberto Carriera al pagamento degli 803,20 euro elevati. Facciamo ordine. Il ricorso contro la multa e la sospensione era stato presentato dal ristoratore e leader del movimento #Ioapro Umberto Carriera ai tempi delle restrizioni per la pandemia. Ed era stato accolto. Il giudice del tribunale di Pesaro aveva annullato l’ordinanza e “disapplicato” il Dpcm. Il fatto risale al 15 gennaio 2021 quando il ristoratore lasciò aperto il ristorante La grande Bellezza di Mombaroccio, accolto i clienti e Vittorio Sgarbi.  


La cena con Sgarbi


Erano i giorni in cui i locali potevano stare aperti a pranzo ma non la sera, ma Carriera andò contro le regole del Dpcm di dicembre.

Così la polizia locale entrò nel locale e multò Carriera e la Prefettura chiese la chiusura di 20 giorni del locale. Multa, neanche a dirlo, mai pagata. Tanto che la Prefettura ha fatto partire l’ingiunzione di pagamento per la somma di 803 euro. Carriera ha impugnato tutto tramite l’avvocato Lorenzo Nannelli, quest’ultimo sostenendo che «nessun verbale del CTS (comitato tecnico scientifico) motivava le chiusure dalle 18 in poi dei ristoranti che potevano rimanere aperti a pranzo e non a cena. Inoltre non si comprende dai verbali del CTS per quali motivi nello stesso periodo le aree di servizio potessero rimanere aperte con servizio a tavolo, così come i ristoranti degli alberghi». Il giudice parlava di «compressione dei diritti costituzionalmente garantiti» perché il Dpcm «necessitava di un adeguato impianto giustificativo». Poi entrava nel merito degli orari. «Scelta che avrebbe dovuto essere supportata da dati scientifici precisi». Il giudice parlava di «insufficienza e incompletezza di motivazione» e dunque autorizza la «disapplicazione» e il conseguente annullamento dell’ordinanza di ingiunzione. 


L’opposizione


La Prefettura si è opposta e si è arrivati alla sentenza d’appello. Per i giudici «le ragioni di disapplicazione non trovano corrispondenza con la natura dell’atto ed i limiti di sindacato non trovano riscontro nell’esame dei riferimenti tecnico scientifici e di ponderazione (adeguatezza/proporzionalità)». E ancora sarebbe “difettosa” la questione della «non applicabilità della sanzione per “stato di necessità”, invocato per “necessitata” difesa del diritto al lavoro ed al sostentamento proprio e dei dipendenti». In risposta al fatto che alcune aree di servizio potevano stare aperte, i giudici ribadiscono che le chiusure erano «temporanee e parziali aventi il fine di tutelare la salute e l’incolumità pubblica, valide in modo generale, omogeneo e indifferenziato per ciascuna categoria merceologica interessata, in quanto tali del tutto inidonee ad alterare la concorrenza e il mercato». Sentenza dunque ribaltata.
 

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