Al processo tutti assolti ma c'erano solo incertezze

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Sabato 21 Ottobre 2017, 05:00
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FANO Dopo lo sbarco a Fano la statua greca fu tenuta nascosta per qualche giorno in un sottoscala e poi venne sotterrata in un campo agricolo. Fu acquistata dall'antiquario Barbetti di Gubbio che in seguito finì sotto processo per ricettazione e furto ai danni dello Stato in concorso con due familiari (Giacomo, Pietro e Fabio Barbetti) e il prete Giovanni Nagni, nella cui canonica la statua fu tenuta nascosta. In primo grado a Perugia vennero assolti per insufficienza di prove, condannati in secondo grado la Cassazione rinviò gli atti alla Corte d'appello di Roma che li assolse con formula piena. La sentenza si basava su due incertezze: era ritenuto dubbio che la statua fosse stata ripescata in acque territoriali italiane e anche che avesse un valore storico e artistico.
Tra i capi d'imputazione non erano compresi i reati di esportazione illecita e di contrabbando di un bene culturale appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato italiano, reati in funzione dei quali ora è stata ribadita dal pubblico ministero e dall'avvocato dello Stato la richiesta al giudice dell'esecuzione della confisca della statua. Dell'equipaggio che ripescò il Lisippo sopravvive solo il mozzo di allora, Athos Rosato, che alcuni anni fa si è preso la soddisfazione di accarezzare la statua al museo di Malibù.
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