Ceriscioli convince il premier: «Abbiamo vinto, ora si riparte»

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Venerdì 18 Gennaio 2019, 05:04
LA SVOLTA
ANCONA Si riparte da qui, dal modello locale. Il baricentro del meccanismo decisionale per la ricostruzione post terremoto sarà più vicino ai sindaci, ai presidenti di Regione e ai territori. Parola di premier. Incontenibile la soddisfazione di Luca Ceriscioli, appena fuori da Palazzo Chigi: «Abbiamo vinto, ora si riparte davvero».
Il confronto
Giuseppe Conte s'è appena impegnato di fronte ai quattro governatori che da due anni si dibattono in una trincea di polvere, distruzione e burocrazia che li assedia. Uno accanto all'altro, oltre a Ceriscioli, non perdono una battuta Nicola Zingaretti, Giovanni Lolli e Catia Marini: i volti e l'impegno di Marche, Lazio, Abruzzo e Umbria, il cratere del sisma più ampio che mai. In sintesi, si resetta lo schema introdotto con il decreto di Genova che aveva tolto voce e potere ai territori. Sembra quasi di tornare al format di rinascita che seguì le scosse del 97: allora erano solo Marche e Umbria, ma fecero modello.
Detto, fatto
I governatori pretendono, Conte sembra assecondarli su tutta la linea, tant'è che Ceriscioli a fine confronto è esaustivo quanto telegrafico. «Recepite le nostre istanze. Compresa dall'esecutivo la necessità dell'intesa con i commissari. Il sottosegretario Crimi individuato come punto di riferimento del governo». La messa in pratica è incisa in un annuncio del premier: «Il governo prepara un testo unico sul terremoto, una sorta di codice che raccolga le norme ordinamentali e attuative per la gestione della ricostruzione». Assicura, pure, «che valuterà la modifica della norma del decreto per Genova che esclude l'intesa coi vicecommissari, gli stessi presidenti di Regione, nella esecuzione delle opere». Ed è qui che Ceriscioli lega stretta la ragione alla logica: «È un grande risultato che dimostra quanto fosse sbagliato lasciare ai governatori solo funzioni consultive». Incalza: «Come abbiamo denunciato più volte, arrivando a fare ricorso alla Corte Costituzionale, questo avrebbe danneggiato i cittadini perché è imprescindibile il ruolo delle Regioni».
Quella di ieri a Palazzo Chigi è stata la prima occasione d'incontrare il premier per invitarlo a rivedere il modello di governance della ricostruzione. Quasi fosse un volere del destino, nelle stesse ore a Camerino, durante una riunione spontanea di sindaci delle zone squassate da quella serie di scosse senza fine, viene lanciato un ultimatum: o si cambia davvero o tutti in piazza. Tregua. Perché l'annuncio che arriva da Roma può placare gli umori: «La presenza di Crimi nelle Marche già lunedì - fa notare Ceriscioli - sarà l'occasione per fare interventi concreti. Sono state accolte le nostre istanze, a dimostrazione che quello che chiediamo è legittimo, necessario e imprescindibile». Nota a margine: all'incontro c'era Crimi, ma non il commissario Piero Farabollini.
I numeri
Si riparte dal modello locale. Le cifre lo impongono: il 50% dei soggetti attuatori delle opere pubbliche finanziate non ha ancora dato il via al procedimento; 2.500 progetti di ricostruzione leggera non sono stati ancora presentati; le opere finanziate sono circa mille, per un valore di un miliardo di euro. E Ceriscioli prima di salire a Palazzo aveva elencato le urgenze: «Condividere con un accordo-quadro il patto per lo sviluppo; procedere alla semplificazione normativa per la ricostruzione pubblica; garantire personale e strumenti per quella privata». E su tutto s'impone un avvertimento: «Al di là delle casette di legno, noi vogliamo che la gente torni nelle proprie abitazioni con lavoro, infrastrutture, scuole e servizi».
Si resetta lo schema, ma le ferite ancora aperte generano solo prudenza. Mauro Falcucci, primo cittadino di Castelsantangelo sul Nera, tra i centri rasi al suolo, subito dice: «Va evitata la strumentalizzazione politica: i sindaci devono portare a casa risposte per i propri cittadini, che vogliono sapere se la ricostruzione si farà, altrimenti è inutile buttare via i soldi».
Le reazioni
Da Amandola arriva la voce di Adolfo Marinageli: «Se le istituzioni tornano a parlarsi, non possiamo che esserne felici. Negli ultimi sei mesi la frizione tra Stato e Regioni ha creato uno stallo e i Comuni sono stati messi da parte. Che i Comuni possano gestire le pratiche più semplici: da più di due anni la burocrazia non ci permette di andare avanti». Per Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata, «il governo deve accelerare sui piani di ricostruzione. Arquata del Tronto ha sette frazioni che rischiano di scomparire». Alessia Morani, della presidenza del gruppo Pd alla Camera, contrattacca: «Prendiamo atto che il premier si è reso conto che avevamo ragione. Ci auguriamo che sia conseguente perché se non fosse così, si tratterebbe di un'insopportabile presa in giro nei confronti delle popolazioni colpite dal terremoto». Si riparte da qui.
Maria Cristina Benedetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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