L'INTERVISTA
FERMO Meno infortuni, ma più malattie professionali, inevitabili

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Martedì 15 Ottobre 2019, 05:04
L'INTERVISTA
FERMO Meno infortuni, ma più malattie professionali, inevitabili quando passi la vita a ripetere sempre lo stesso movimento. Un sistema lavorativo tra luci e ombre, quello analizzato dal segretario della Cgil di Fermo, Alessandro De Grazia.
Meglio dell'anno scorso, ma la strada è ancora lunga.
«Se c'è un trend decrescente significa che quello che è stato fatto in termini di prevenzione, formazione dei lavoratori e presidio dei luoghi di lavoro sta portando qualche risultato. Ma sono variazioni talmente minime che non c'è da gioire. Perché resta il fatto che, ogni anno, migliaia di persone subiscono infortuni o si ammalano».
Malattie professionali, le chiamano.
«Da noi sono molto diffuse, soprattutto quelle dell'apparato muscolo-scheletrico, come il tunnel carpale. Sono causate da movimentazioni ripetute e vibrazioni. Per evitarle, basterebbe mettere in piedi meccanismi di rotazione delle mansioni. Da una parte si eviterebbe che i lavoratori di ammalino, dall'altra si creerebbero professionalità. Ma niente. In più, c'è il grande punto interrogativo di quante ne vengono denunciate».
Numeri sottostimati, quindi?
«Secondo il nostro osservatorio, sono molti di più. Ma nelle aziende piccole, dove il datore di lavoro lavora fianco a fianco con l'operaio, è complicato per il lavoratore denunciare di essere stato esposto nel tempo a una determinata mansione che l'ha fatto ammalare. I primi a denunciare dovrebbero essere i medici di base, ma non fanno il loro mestiere».
Chi dovrebbe controllare, lo fa?
«Il sistema funziona se tutti fanno la loro parte. È necessario rafforzare le risorse destinate alla prevenzione. Invece, nelle Marche non vengono rispettati neanche i parametri minimi delle risorse per i servizi di prevenzione, che hanno il personale ridotto al lumicino e che mancano di un adeguato turn over. Lo Stato deve mettere adeguate risorse per la prevenzione e i controlli».
Ma anche i lavoratori devono fare la loro parte. E a volte non la fanno.
«È il risultato di un sistema sempre più precario, per cui qualcuno, pur di lavorare, non fa tanta attenzione a questi aspetti. Ma la responsabilità è del datore di lavoro. È lui che deve garantire la salute dei lavoratori e deve far sì che in ogni luogo di lavoro ci sia qualcuno addetto al controllo. Perché non può essere affidato al buon senso del lavoratore. È soprattutto una questione di cultura e di formazione».
Che a quanto pare manca.
«Tranne i casi di qualche grande azienda, dove sono presenti anche i nostri presidi sindacali, non c'è una cultura imprenditoriale per cui si capisca che investire su salute e sicurezza non è un costo, ma un modo non solo per migliorare la qualità della vita dei lavoratori, ma anche dell'azienda. Perché quando un lavoratore muore o si infortuna, l'impresa e tutto il sistema sanitario devono sostenere costi molto più alti. Sommando tutti questi aspetti, si farebbe la differenza».
fr. pas.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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