Aiuti a malati e famiglie l'assistenza è in sinergia

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Martedì 12 Novembre 2019, 05:04
LA SANITÀ
FERMO Un mantello caldo, che avvolge e protegge. Richiama il simbolo di San Martino la rete di associazioni sanitarie che si sono unite per alleviare le sofferenze dei malati terminali. Per presentarsi, hanno scelto il giorno dedicato al santo che donò metà del suo mantello a un mendicante, da qualche anno anche Giornata mondiale delle cure palliative. Quelle che, quando la medicina si arrende, accompagnano il malato verso una morte il più serena possibile.
L'integrazione
«Un percorso che integra aspetti spirituali, sociali e psicologici», ha spiegato il direttore dell'Area vasta 4, Licio Livini. «Si va verso un modello assistenziale di tipo biopsicosociale ha proseguito , che supera l'approccio meccanicistico. Una visione olistica del malato, considerato in un equilibrio tra malattia e aspetti esteriori che lo circondano, per migliorarne la qualità della vita nella fase terminale». Una presa in carico totale, del paziente e della sua famiglia, che, oltre alle cure mediche, offre sostegno psicologico. E che dovrà diventare prassi per ogni tipo di patologia, «al fianco delle istituzioni, che devono garantire questi percorsi, ma non sostituendosi a esse», ha sottolineato Livini.
La spola
Meccanismi ben rodati, in corsia e nelle case dei malati, dove i volontari fanno la spola. Ora si struttureranno, «per diventare partner collaborativo e fattivo» della sanità fermana». Con un progetto che durerà un anno e mezzo, tra lezioni e iniziative pubbliche. Si chiama Volontari competenti per la rete delle cure palliative ed è un mosaico che si comporrà pian piano. Come lo striscione appeso in via Zeppilli, al civico 18, dove, con il passare dei mesi, verranno aggiunte le conquiste fatte dalla rete. Che per ora è formata da sei associazioni. Capofila è L'Abbraccio, da dieci anni in prima linea all'Hospice di Montegranaro. Gli altro sono Anpof (Associazione noi per l'oncologia fermana), Ant (Associazione nazionale tumori), Aima (Associazione italiana malattia Alzheimer), Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) e Cittadinanzattiva - Tribunale per i diritti del malato. Partner sono l'Area vasta 4 e i Comuni di Montegranaro e Porto San Giorgio. Il progetto è patrocinato dall'Ordine dei medici di Fermo. Una riscoperta della pietas, per il direttore medico del Murri Fiorenza Padovani, «frutto di un cambiamento culturale e di un approccio al dolore non più visto come qualcosa da cui dover passare per forza». E di una normativa che pian piano sta andando in questa direzione.
La normativa
Le leggi di riferimento sono la 38 del 2010 che disciplina l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, la 219 del 2017 sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento e la 7 del 2019 sull'accesso alle cure palliative. Per il responsabile del rischio e della sicurezza delle cure del Murri, Andrea Vesprini, «la Regione è in ritardo, mancano formazione per i professionisti e i registri dove depositare le dichiarazioni». Argomenti delicati, che scaldano i dibattiti. E temi di confine. Che, però, è stato precisato ieri, niente hanno a che vedere con accanimento terapeutico e, all'estremo opposto, eutanasia. «Il confine non è netto ha spiegato il primario di Oncologia, Renato Bisonni , è molto sottile e personale. Come medici abbiamo nel dna il desiderio di aiutare gli altri. Facciamo tutto quello che possiamo. Mettiamo in campo tutte le terapie, pensando di fare bene. Ma a un certo punto bisognerebbe avere la sensibilità di fermarsi, di lasciare spazio al palliativista». Bisonni, che dal precedente primario ha ereditato la buona pratica dell'Hospice, si è detto «estremamente orgoglioso di appartenere a un'Area vasta illuminata, che forse non ha tutto, ma che in questo campo è all'avanguardia e faro per tutta la regione». E che nella struttura di Montegranaro ha il suo fiore all'occhiello.
La squadra
Lì i pazienti ritrovano i medici e gli infermieri del Murri. Un'equipe ben organizzata, di cui fanno parte anche oss e una psicologa, nata quasi undici anni fa. «All'inizio ha ricordato la caposala di Oncologia, Maria Rosaria Borriello ci sentivamo impotenti. Nel corso dei mesi, ci siamo resi conto che prendersi cura dei pazienti è determinante. Perché, curando i loro bisogno in questa fase di vita, aumenta la stima che hanno di loro stessi e tornano a sentirsi importanti per la loro famiglia e per la società».
Francesca Pasquali
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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