Quegli ordigni dal cielo In un giorno 2mila morti

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Venerdì 19 Ottobre 2018, 05:05
LA STORIA
ANCONA La prima ondata di bombardieri arrivò il 16 ottobre del 43 e la zona più colpita fu proprio quella dove ora, quasi 75 anni dopo, c'è la zona rossa interessata dall'allarme bomba di ieri. I bimotori B-25 Mitchell dell'Usaaf sganciarono i loro ordigni nelle vicinanze della stazione ferroviaria, tra gli Archi e la Palombella, lungo via Marconi, corso Carlo Alberto e via De Pinedo. Distrussero infrastrutture e quartieri, con effetti collaterali pesantissimi. «Crollarono numerosi edifici - si legge nel sito dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche (Istituto Storia Marche) -, ci furono circa 200 vittime e circa 300 feriti tra gravi e leggeri».
L'eccidio di Ognissanti
Il peggio arrivò due settimane dopo, la mattina di Ognissanti, con un nuovo bombardamento pesante. Alle 12 e 16 del primo novembre gli aerei alleati sganciarono i loro ordigni sulla zona del porto, provocando morti e distruzioni. Seguirono tre allarmi antiaerei, che spinsero la popolazione a rintanarsi nei rifugi antiaerei. Si riempì in fretta anche il Rifugio del Carcere Santa Palazia, dove si accalcarono non solo detenuti e secondini, ma anche centinaia di civili. La seconda incursione, circa 40' minuti dopo, fu effettuata da 37 B-25 che sganciarono tra il rione Porto, San Pietro e il centro, 120 bombe dirompenti. Fu interessata la zona del porto, ma anche il rione Guasco, il rione San Pietro, le vie adiacenti del centro storico. Il cantiere navale subì danni ingenti, la Nave Reale Savoia, ormeggiata in morto, fu colpita e affondata. Il Rifugio del penitenziario di Santa Palazia venne centrato da quattro ordigni, che fecero crollare l'ingresso situato nell'attuale via Birarelli, allora via Fanti, la parte centrale del rifugio e l'uscita posteriore del carcere.
I primi soccorritori trovarono 156 vittime e le salme vennero sepolte in un cimitero di guerra nel giardino del penitenziario. Dopo i bombardamenti del 2 e 7 novembre 1943, le autorità, per il timore di epidemie dovute all'alto numero di cadaveri, decisero di murare i due ingressi del Rifugio, lasciando però all'interno un numero impressionante di corpi. Solo dieci anni dopo la legge consentì il recupero delle vittime e il numero totale salì a 724, in gran parte anconetani residenti del quartiere Guasco-San Pietro, oggi sepolti nel Monumento ossario del cimitero cittadino di Tavernelle. Nel 2015, in occasione dell'anniversario del bombardamento, il Comune di Ancona cambiò la targa commemorativa all'ingresso del rifugio di via Birarelli per aggiornare la tragica contabilità delle vittime, da 300 a più di settecento.
I quartieri distrutti
In tutto i morti per i bombardamenti del 1° novembre 43 furono circa 2.000, ma Ancona continuò pagare un pesante tributo anche l'8 dicembre (42 vittime e una trentina di feriti) quando venne presa di mira dagli aerei la zona del Piano, piazza d'Armi e i quartieri vicini del Pinocchio, di Posatora, delle Palombare e delle Grazie. Furono danneggiate molte abitazioni, interrotte le strade e venne distrutto il manicomio provinciale di Viale Cristoforo Colombo. Al termine della Seconda guerra mondiale si contarono 277 bombardamenti, anche navali, sulla città di Ancona: diversi quartieri andarono distrutti e il più devastato fu proprio quello del porto. Ma le bombe, 75 anni dopo, continuano a far paura.
Lorenzo Sconocchini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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