La baby gang di piazza Roma Armi per rapinare i ragazzini

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Mercoledì 20 Febbraio 2019, 05:05
L'EMERGENZA
ANCONA La partita era una scusa. La frustrazione per l'eliminazione ai rigori dell'Italia dagli ultimi Europei, ad opera della Germania, una banale giustificazione. In verità, il gruppetto di bulli era in piazza Roma per infastidire ragazzini e derubarli. Delle emozioni di un quarto di finale palpitante e della cocente delusione per un epilogo atroce, dipinto sui volti degli azzurri dell'allora c.t. Conte in quella fatale sera del 2 luglio 2016, non gliene importava un bel niente. I loro cuori battevano per altro. Non per il rigore sbagliato e costato la sconfitta. Bensì per la folle corsa per i vicoli del centro, nel tentativo di sparire dal radar della polizia. Uno cercò di disfarsi di un coltello e un tirapugni, poi rinvenuti dalle Volanti. Fu beccato insieme a un amico, all'epoca diciottenne e albanese come lui, nelle vesti di capobranco.
Imporre la supremazia
Fu l'incipit di un'indagine che ha portato a sgominare una gang, composta da giovani stranieri di seconda generazione che, in cerca di spiccioli, telefonini o per imporre la supremazia sul territorio, tormentava commercianti e adolescenti, tra furtarelli, atti vandalici, risse e vere e proprie rapine a mano armata, come quelle consumate la sera in cui la Nazionale soccombeva ai rigori a Bordeaux. Dopo due anni e mezzo, ieri al tribunale per i minorenni si è aperto il processo a carico di 5 degli 8 componenti (tre erano già maggiorenni all'epoca dei fatti e seguono l'iter giudiziario presso il tribunale ordinario) della baby gang che terrorizzava il centro ed era solita ritrovarsi in piazza Roma. Luogo che la questura per un periodo, proprio nell'estate del 2016, si vide costretta a blindare con le squadre speciali del Reparto mobile per arginare l'ondata di bravate e reati dei ragazzini terribili.
Nella prima udienza sono state formalizzate le richieste degli avvocati dei 5 millennial (tutti classe 2000) riconosciuti grazie alle telecamere e alle testimonianze delle vittime, ma anche attraverso alcuni particolari: un cappellino, una canottiera, un paio di sneakers sgargianti. I legali hanno chiesto per tutti la sospensione del procedimento con messa alla prova, l'istituto giuridico che dà la possibilità a chi ha commesso un reato, punibile con una condanna non superiore ai 4 anni, di estinguerlo senza andare in carcere, attraverso un percorso di riabilitazione. Il giudice si è riservato la decisione e ha rinviato l'udienza al 18 giugno. Certo le sue valutazioni non potranno prescindere dall'efferatezza degli agguati che, in quella maledetta sera del 2 luglio 2016, vennero tesi dalla baby gang ai danni di un gruppetto di adolescenti, in particolare 4 ragazzi (due 16enni e due 15enni all'epoca dei fatti) residenti tra Ancona e Camerano che, per paura di ritorsioni, insieme ai genitori hanno scelto di non denunciare il branco.
Il pretesto per la lite
Ma l'indagine è andata avanti d'ufficio e ora ai 5 imputati, seguiti dai servizi sociali, viene contestata la rapina aggravata in concorso. Mentre arrivano in tribunale alla spicciolata, qualcuno accompagnato da mamma e papà, altri solo dagli avvocati, hanno lo sguardo a terra e un'espressione abbacchiata. Nulla a che vedere col ghigno feroce con cui almeno tre di loro rapinarono i coetanei, mentre gli altri due facevano da palo. I 5 ragazzini - un albanese, due romeni, un sudamericano e un tedesco, ma tutti anconetani d'adozione - allora avevano appena 16 anni, eppure erano già adulti nei modi squadristi con cui, dopo quell'infausta partita della Nazionale vista davanti al maxischermo di piazza Roma, rapinarono un gruppetto di coetanei. «Ehi, ci stai provando con mia sorella?» è la scusa con cui uno dei bulli attaccò briga con un rivale, lungo la scalinata di via Zappata. Ed ecco spuntare un tirapugni che accarezza il volto della vittima, mentre il complice lo prende per la maglietta, gli sfila 5 euro dal portafogli e con un calcio gli ordina di andarsene. Nel frattempo, altri tre giovanissimi vengono importunati e costretti a seguire la coppia di spacconi in corso Mazzini, per poi svoltare in vicolo buio, all'angolo tra via della Pescheria e via Buoncompagno, dove raggiungono gli altri componenti di quello che gli inquirenti, nelle carte dell'inchiesta, non esitano a definire un «sodalizio criminale».
Calci e pugni
Qui in tre fanno da palo, per accertarsi che nessuno arrivi, gli altri 5 si lanciano all'assalto: spuntano un coltello a serramanico e un collo di bottiglia, partono calci e pugni, fino a che le vittime non consegnano soldi (pochi spiccioli) e cellulari. Qualcuno assiste al pestaggio e chiama il 113. La polizia si fionda all'inseguimento. Due dei tre maggiorenni, albanesi, vengono acciuffati con le armi. Agli altri si arriverà in seguito, grazie a telecamere, testimonianze e quei cappellini trendy che hanno finito per tradirli.
Stefano Rispoli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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