Ex Ipsia, sarà fine pena mai? L'inchiesta allunga l'odissea

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Lunedì 18 Novembre 2019, 05:04
IL RESTYLING
ANCONA La targa è rimasta, un lucchetto chiude il portone d'ingresso tatuato da graffiti, pure quelli sbiaditi dal tempo che passa inutilmente. All'Ipsia fanno un po' effetto-carcere le inferriate consumate dalla ruggine. Tra le maglie si scorgono le stanze piene di polvere e nostalgia. In primo piano pile di documenti e cartelline ammonticchiate, una ha la copertina azzurra con la scritta: «Giornale di magazzino». Attorno il caos: un tripudio di fogli sparpagliati a terra, faldoni che sembrano trovare riparo in archivi malridotti, aperture sul muro senza porte.
Un girone infernale di 4.220 mq in pieno centro, dove si contendono un riparo piccioni, clochard, ubriachi e tossici. Il Comune ha tentato di metterci una pezza, anzi una recinzione: ma un modo per entrare nella pancia del gigante dimenticato si trova sempre. Con buona pace dei vicini di casa dello stabile tra via Curtatone e via Veneto, costretti a convivere con quell'accumulatore di degrado e delinquenza. E allora, a intervalli regolari, deve intervenire la polizia, almeno per stroncare qualsiasi attività fuorilegge. Quanto tempo ancora bisognerà sopportare questo pugno nello stomaco della civiltà? Con l'entrata a piedi pari dell'inchiesta su appalti e corruzione in Comune nella vicenda dell'Ipsia, c'è davvero poco da essere fiduciosi sui tempi.
Le indagini
L'ipotesi investigativa è che determinati immobili siano stati assegnati senza attenersi al codice degli appalti: uffici locali, frutto di riorganizzazioni o piani di decentramento, che sarebbero stati attribuiti direttamente agli Enti locali, senza le regolari gare pubbliche. Un'attività d'indagine che coinvolgerebbe funzionari e dirigenti di istituzioni nazionali. In particolare, tra i 30 indagati dell'inchiesta, ci sarebbero un'alta responsabile del ministero per i Beni e le Attività Culturali (Mibac), e il direttore generale di un Ente capitolino. Perché la procura vuol fare chiarezza sull'affaire dell'ex Ipsia, per il quale il Comune ha partecipato a un'indagine di mercato indetta lo scorso gennaio proprio dal Mibac, alla ricerca di immobili in locazione adatti a ospitare l'Archivio di Stato di Ancona, con consegna entro sei mesi dalla stipula del contratto. Il Comune aveva presentato la domanda al fotofinish il 28 febbraio, ma tra i requisiti richiesti per ospitare i documenti dal valore di circa 2 milioni (ora conservati nella sede di via Maggini) mancavano un impianto di climatizzazione, accessi per disabili ed elementi in materia di normativa antisismica. La Soprintendenza da parte sua ha dato il via libera scacciando lo spettro del vincolo storico-architettonico sull'immobile e decretando che non si tratta di un edificio di interesse storico-culturale, che potrebbe quindi essere abbattuto e poi ricostruito, o adeguato sismicamente, lasciando intatta la struttura. Sono queste le due strade che il Comune può percorrere: la demolizione e ricostruzione, con costi a carico del Comune che poi si rivarrebbe sul canone d'affitto o un mutuo per l'adeguamento sismico, da finanziare attraverso la locazione al Mibac.
La procedura
«Ci sono stati abboccamenti con l'Archivio di Stato - aveva spiegato l'assessore ai Lavori pubblici Manarini . La demolizione aprirebbe la strada anche ad altre possibilità: per esempio, destinare le superfici necessarie all'Archivio di Stato e le altre per diverse finalità. Definita la parte tecnico-economica verranno individuate le superfici effettive da realizzare, e avremo un quadro più chiaro per prendere la decisione migliore». Poi è arrivata la bufera giudiziaria: e il progetto di rinascita dell'ex Ipsia rischia di subire un altro brusco (l'ennesimo) stop.
Emanuele Coppari
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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