Welfare, il labirinto delle pensioni: pochi investimenti e tanta disinformazione

Welfare, il labirinto delle pensioni: pochi investimenti e tanta disinformazione
di Marco Barbieri
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Mercoledì 30 Settembre 2020, 15:33 - Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 10:03
Nel 1976 Onorato Castellino titolava un suo libro di successo: “Il labirinto delle pensioni”. Potremmo dire che un’uscita vera non è stata ancora trovata, anche se – con qualche ragione – Elsa Fornero sostiene che «il sistema previdenziale è l’unica parte del welfare che è stata effettivamente ridisegnata, sia pure in modo lento e contrastato». Lentezza e contrasti hanno finito per costruire un nuovo labirinto che si è aggiunto a quello descritto oltre quarant’anni fa: scalini e scaloni, quote, esodati il vocabolario delle riforme previdenziali conferma l’idea di una giungla piuttosto che di un labirinto.
Resta tutta l’opacità del “mondo pensioni”. Al punto che una recente indagine condotta da Mefop (la società di consulenza del Mef per i fondi pensione) ha segnalato che il 30% degli intervistati, infatti, non sa qual è il sistema adottato per il calcolo della prestazione previdenziale. Diffusa anche la convinzione che la pensione verrà calcolata ancora con il sistema retributivo, metodo che, da anni, ha lasciato il posto al contributivo. Questa mancata informazione distorce la percezione della realtà e impedisce, soprattutto ai più giovani, di pianificare il proprio futuro previdenziale. E forse l’altro 70% non ha ben compreso la domanda, o ha ostentato una conoscenza che spesso non c’è. Poco più di 1 intervistato su 2 (il 54%) dichiara poi di essere informato sul sistema pensionistico pubblico; il che vuol dire che il restante 46% dichiara di saperne poco o per niente.

LA SPESA

Con un valore pari a 281,5 miliardi di euro (secondo i dati del Rapporto “Welfare, Italia”) la componente pensionistica rappresenta il 57,6% del totale della spesa in welfare. Al secondo vi è la sanità con un peso percentuale pari a 23,3%. Le politiche sociali valgono, infine, meno del 20% della spesa complessiva. Inevitabile che spesso il welfare coincida più o meno strutturalmente, nell’immaginario dell’opinione pubblica, con il mondo della previdenza.
Resta il fatto che un quarto di secolo fa, quest’anno si compie il venticinquesimo anno di età, con la Riforma Dini si è innescato un profondo riassetto, almeno del calcolo delle prestazioni. Il metodo contributivo ha sostituito quello retributivo. E contestualmente si è dato il via alla stagione della previdenza complementare. 
Secondo i dati di Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione (l’authority che controlla il sistema), alla fine del 2019 l’offerta di strumenti di previdenza complementare si componeva di 380 forme pensionistiche: 33 fondi negoziali, 41 aperti, 70 piani individuali pensionistici (PIP) “nuovi”, 235 fondi preesistenti, oltre a FondInps, ora cancellato e confluito nel fondo Cometa. Il numero delle forme operanti nel sistema è in costante riduzione: è diminuito di ulteriori 18 unità rispetto al 2018. Venti anni prima, nel 1999, le forme erano 739, quasi il doppio. La spinta al consolidamento del sistema, tuttora in atto, ha interessato tutte le tipologie di forme pensionistiche, con motivazioni diverse. Nei fondi negoziali si è espressa mediante l’aggregazione di iniziative previdenziali insistenti su bacini contigui di aderenti, eliminando sovrapposizioni e aumentando la scala dimensionale
Nei fondi preesistenti il processo di razionalizzazione è stato guidato dalle operazioni di fusione e acquisizione che hanno coinvolto le aziende bancarie e assicurative, da tempo promotrici di iniziative previdenziali a favore dei propri dipendenti. In diversi casi, l’unione in gruppi finanziari più ampi ha condotto a concentrare gli schemi esistenti in uno o due fondi di gruppo, distinti in base al regime di contribuzione definita ovvero di prestazione definita.
Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari totalizzano 185,1 miliardi di euro, il 10,7 per cento in più rispetto all’anno precedente; esse si ragguagliano al 10,4% del PIL e al 4,2% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno ammontano a 16,2 miliardi di euro. Ne sono affluiti 2,2 miliardi ai fondi aperti e 4,5 ai PIP, con una crescita, rispettivamente, dell’8,2 e del 4,9 per cento. Quelli destinati ai fondi negoziali, 5,3 miliardi, si sono incrementati del 5,3 per cento.

LE SCELTE

I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.700 euro. Il 25% degli iscritti contribuisce con meno di 1.000 euro; la percentuale sale al 30,6% nei fondi negoziali per effetto di un’ampia platea di lavoratori che versano il solo contributo contrattuale. Il 14,9 per cento degli iscritti versa tra 1.000 e 2.000 euro; il 10,8 per cento tra 2.000 e 3.000 euro. Alle classi successive appartiene un numero via via inferiore di iscritti; fa eccezione la fascia di versamento tra 4.500 e 5.165 euro, che include il limite di deducibilità fiscale dei contributi, fissato dalla normativa proprio in 5.164,57 euro, alla quale appartiene il 6,5 per cento degli iscritti.
Il pianeta previdenza resta lontano dalle scelte e dai comportamenti di molti italiani: rispetto ai 13 milioni di iscritti a forme di sanità integrativa, gli iscritti a forme di previdenza complementare (nel suo complesso) sono poco più di 8 milioni (dei quali 3,2 milioni sono quelli che aderiscono ai fondi chiusi). La salute è percepita come problema dell’oggi, la pensione riguarda – a torto – il domani. A preoccupare gli italiani ci sono sicuramente le pensioni inadeguate e l’ipotesi di perdita del lavoro. Ma negli ultimi anni, sono cresciute anche le preoccupazioni legate alla propria salute e a quella dei familiari. Rispetto all’indagine campionaria del 2012, la ricerca Mefop del 2019 infatti, ha posto i timori per la salute, la paura di ritrovarsi malati e senza gli strumenti per fronteggiare questa situazione si sono fatte più forti, arrivando a interessare il 38% del campione (era l’11% nel 2012). E non era ancora arrivato Covid 19!
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