
Recovery fund, si cominci dalle città dove la crisi è più forte

di Gianfranco Viesti
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento:
30 Settembre, 17:47
Con il Piano nazionale di ripresa e di resilienza ci giochiamo moltissimo del nostro futuro. Veniamo da un ventennio di crescita stentata e da dieci anni di politiche di austerità che hanno ridotto le nostre potenzialità tagliando investimenti e servizi pubblici, e le spese che più contano: dall’istruzione alla salute all’innovazione e alla ricerca. In particolare per i cittadini più deboli e le aree del Mezzogiorno. Siamo in una situazione di grandissima incertezza, con l’economia che è crollata in primavera; con molte attività economiche, dai viaggi alla cultura, in stallo; con un mercato del lavoro ingessato da tutele indispensabili, ma non prorogabili all’infinito. Ci sono segnali confortanti sull’attività estiva; ma la perdita di posti di lavoro in autunno potrebbe contarsi in centinaia di migliaia, con tutte le conseguenti ricadute sociali. Infine, c’è finalmente un approccio europeo (della Germania) completamente diverso da quello del 2011-12, a cui è indispensabile dare riscontro; mostrare che la strada giusta, anche per risanare i conti pubblici, è quella di investire per favorire la crescita. Ottenendo risultati. Per ricreare la fiducia, nostra e degli altri, nel nostro Paese. Le dimensioni del Piano sono imponenti: 191 miliardi (209 miliardi è la dote complessiva dei fondi messi a disposizione dalla Ue). Se ben spesi possono portare di per sé entro il 2025 a far crescere il Pil di tre punti; generando oltre mezzo milione di posti di lavoro, solo come impatto diretto della spesa. Senza contare che in un’Italia migliore e più efficiente le imprese potrebbero diventare più produttive e competitive.

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