Covid. Il professore contagiato, ricoverato il 4 marzo e dimesso il 19 novembre

Covid. Il professore contagiato, ricoverato il 4 marzo e dimesso il 19 novembre
Covid. Il professore contagiato, ricoverato il 4 marzo e dimesso il 19 novembre
di Gabriele Pipia
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Giovedì 26 Novembre 2020, 09:20 - Ultimo aggiornamento: 29 Novembre, 17:38

PADOVA Otto mesi e mezzo di agonia, 260 giorni di battaglia contro il nemico invisibile. Cinque reparti, due ospedali e un grande vuoto di memoria. «So che sono stato a lungo intubato in Terapia intensiva, ma di quei giorni non ricordo praticamente nulla». La testimonianza è di un uomo di 74 anni, professore padovano, ricoverato d'urgenza il 4 marzo e dimesso solamente giovedì scorso. Chi nega la pericolosità del virus e paragona il Covid ad una semplice influenza dovrebbe guardare dritto negli occhi questo distinto signore che oggi ripercorre il suo lungo incubo chiedendo solo di mantenere l'anonimato. Ecco perché lo chiameremo Mario

Virus sintomi

La sua terribile esperienza inizia un mercoledì mattina di marzo, quando si sveglia con la febbre a 38 e ora dopo ora i sintomi iniziano a essere sempre più forti. Sono la moglie e il figlio a preoccuparsi ancor più di lui. «Chiamiamo un medico». L'emergenza è esplosa in Italia da due settimane, la piccola Vo' rappresenta l'epicentro di ogni paura e tre giorni più tardi arriverà il decreto con cui la provincia di Padova diventerà zona rossa. Mario non fa nemmeno in tempo ad accorgersi di tutto quello che accade fuori. Viene portato in pronto soccorso, il tampone dà esito positivo e inizia il calvario. Viene preso in cura al reparto di Malattie infettive ma le difficoltà respiratorie sono evidenti e così finisce subito in Terapia intensiva. Il resto è un incubo. I tubi, i macchinari, le cartelle cliniche, gli anestesisti che si prendono cura di lui giorno e notte. 

Complicazioni

Il professore è uno dei primi pazienti ad essere ricoverati per Covid all'ospedale di Padova e non può certo immaginare che vi rimarrà per tutto questo tempo. Dopo poche settimane il tampone dà esito negativo, ma non basta. Alla polmonite interstiziale si sommano alcune infezioni batteriche che complicano seriamente il quadro clinico. È una lotta disperata, una lotta che i medici padovani vincono. Mario viene dimesso il 29 luglio, quasi cinque mesi dopo, per proseguire la convalescenza al reparto di Fisiopatologia respiratoria. I pneumologi lo assistono assicurandogli che il peggio è passato, gli infermieri della Rianimazione vanno a trovarlo continuamente: in una situazione simile succede anche che un paziente diventi un amico. Lui, respiro affannato e voce flebile, riesce a sorridere: «Quando uscirò e tutto questo sarà finito, vi porterò con me e vi offrirò da bere». 
Le telefonate con moglie e figlio sono costanti, ma per riabbracciarli deve ancora attendere.

Decine di pazienti entrano in ospedale, guariscono ed escono. Lui no. Lui, colpito così duramente dal virus, deve starsene ancora lì. Solo alla fine di agosto, dopo esser passato anche per il reparto di Medicina, Mario può salutare l'ospedale di Padova. Tutto finito? Nemmeno per sogno. La seconda fase è quella della Riabilitazione: tre mesi all'ospedale di Conselve per ritrovare l'abitudine ai movimenti più elementari. Alzarsi in piedi, sbucciare un frutto, lavarsi da solo. Tutto sembra difficile. Passo dopo passo, le condizioni migliorano e a novembre inizia il conto alla rovescia. Lo dice lui stesso sospirando: «Mi dimettono il 19». Così sarà. «Appena ho rimesso piede in casa - racconta adesso Mario - la prima cosa che ho fatto è stata aprire il frigorifero». Una sottigliezza che rappresenta moltissimo: la normalità. 

Ricordi

Questa è la cronaca, poi ci sono le sensazioni, le ansie e le convinzioni. «Quando sono arrivato in ospedale avevo una febbre molto alta, non avevo altri sintomi tipici del Covid. Del mio ricovero in Rianimazione non ricordo nulla e quindi non ho mai avuto consapevolezza del rischio che stavo correndo. I medici successivamente mi hanno spiegato che ci sono stati momenti difficili ma io, come si suol dire, dormivo». 


Guarigione

Mario ricorda bene, invece, il momento più bello: «È stato quando ho risentito dopo molte settimane la mia voce, seppur fornita da una valvola fonatoria». Inevitabili, poi, tanti ringraziamenti: «Sono grato a tutti i sanitari della Terapia intensiva e della fisiopatologia respiratoria. Umanamente disponibili e professionalmente eccellenti». Ora che ha ripreso a leggere i giornali e a seguire l'andamento della pandemia, il professore scuote la testa: «Non avevo bisogno di sperimentare sulla mia pelle gli effetti del Covid per capire quanto siano importanti le raccomandazioni e quanto siano pericolose le parole dei negazionisti. Le loro posizioni denunciano un'assoluta ignoranza». Parola di chi è uscito dal tunnel solo dopo otto mesi e mezzo. 

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