Ucraina-Russia, negoziato e bombe, Putin: «Kiev neutrale, la Crimea sia russa». La guerra non si ferma: missili sull capitale e sul centro abitato di Kharkiv

I paletti di Mosca nei colloqui con Kiev. Il nuovo round sarà al confine polacco

Ucraina-Russia, negoziato e bombe, Putin: «Kiev neutrale, la Crimea sia russa»
Ucraina-Russia, negoziato e bombe, Putin: «Kiev neutrale, la Crimea sia russa»
di Giuseppe Scarpa
8 Minuti di Lettura
Martedì 1 Marzo 2022, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 06:07

Il Cremlino ha dettato l’agenda. I carri armati russi, alle porte di Kiev, sono un’arma efficace anche in chiave diplomatica per cercare di imporre la propria volontà. E così, nelle sei ore di colloquio tra la due delegazioni a Gomel, città bielorussa al confine con l’Ucraina, si è parlato della smilitarizzazione e della neutralità dell’Ucraina e di una Crimea russa. Concetto ribadito da Vladimir Putin nelle stesse ore in un colloquio con il presidente francese Emmanuel Macron. Kiev, secondo le richieste russe, non deve entrare nella Nato, deve essere «denazificata» (questo alluderebbe ad un cambio di governo e alla cacciata dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky). Inoltre, anche l’ingresso del Paese nella Ue, viene ritenuto dal Cremlino un «atto ostile». 

Guerra nucleare, è davvero possibile? Ecco quando ne siamo stati a un passo (e cosa dice l'orologio dell'Apocalisse)

Nuovo incontro

Ad ogni modo, ogni decisione, è stata rinviata. I colloqui, che si annunciavano in salita, non sono riusciti a strappare neppure un cessate il fuoco temporaneo. La guerra continua. Il primo round è servito solo per presentare le richieste russe, e i negoziatori di Putin che hanno alzato la posta in palio forti della loro presenza militare in Ucraina. Al termine dell’incontro di ieri le due delegazioni sono ritornate nelle rispettive capitali per le consultazioni. «Abbiamo trovato alcuni punti su cui è possibile individuare un terreno comune, ha detto Vladimir Medinsky, capo delegazione russo, ed ex ministro della Cultura, secondo cui il nuovo incontro si terrà «nei prossimi giorni al confine tra Polonia e Bielorussia».

Proprio la presenza di Medinsky, tra i più fidati consiglieri di Putin, considerato un falco, è un messaggio chiaro a Kiev e alla comunità internazionale, in merito alla determinazione che il Cremlino persegue nelle trattative. Poche concessioni all’Ucraina. Tant’è che i colloqui sono stati «difficili», ha confermato il consigliere della presidenza ucraina Mykhailo Podolyak, e la posizione russa «estremamente faziosa».

Perciò a Gomel, così come sull’asse Parigi - Mosca, è andato in scena un doppio confronto, con uniche e univoche richieste da parte della Russia. Si cerca di uscire dal binario della guerra che ha sconvolto il Paese e portato il conflitto all’interno dell’Europa. Il presidente ucraino Zelensky ha affermato che le prossime 24 ore saranno cruciali. Zelensky, però, sarebbe voluto arrivare al tavolo delle trattative giocandosi anche la carta di un possibile ingresso nell’Ue del suo Paese. Tuttavia Bruxelles ha reagito con una certa freddezza all’ipotesi di Kiev nell’Unione Europea. Una risposta dettata dal pragmatismo per evitare di irritare, in questa fase delicatissima, la Russia. «L’adesione dell’Ucraina all’ Ue nell’immediato non è in agenda», ha sottolineato l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell. Una dichiarazione che ha in parte indebolito il numero uno ucraino di fronte alla controparte. Anche se oggi il Parlamento europeo domani si riunisce in sessione plenaria per votare sullo status di candidato dell’Ucrain. Al termine dell’incontro però il presidente ucraino ha incassato il sostegno del governo italiano, «credo che la richiesta di ingresso nell’Unione Europea sia legittima», ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. 

Il negoziato

Ieri al tavolo organizzato a Gomel si sono seduti in dieci, 5 ucraini e 5 russi; ma il giallo sui negoziati partiti nelle scorse ore in Bielorussia per cercare di trovare uno straccio d’accordo per un cessate il fuoco in Ucraina, ruota tutto attorno al fantasma del presunto undicesimo uomo della trattativa, neanche fosse una squadra di calcio. Quel Roman Abramovich, oligarca simbolo fra i signori del business post-sovietico in Russia, che il Jerusalem Post prima e un suo portavoce poi hanno indicato quale ipotetico mediatore-ombra impegnato a facilitare l’intesa. 

Ucraina-Russia, i volti della resistenza: dall'ex Miss allo spogliarellista di Kiev i cittadini prendono le armi


La realtà delle immagini ufficiali ha mostrato in effetti in scena solo i 10 delegati delle due parti scelti fra politici, diplomatici e militari. Team alla cui guida si ergono due falchi incaricati - chissà - di farsi colombe: da un lato Oleksii Reznikov, ministro della Difesa di Kiev proveniente dalla roccaforte del nazionalismo ucraino di Leopoli e fedelissimo di Zelensky; dall’altro l’ex ministro Medinsky, consigliere di Putin e già titolare del dicastero della Cultura di Mosca, noto come una sorta d’ideologo del neo revanscismo putiniano, ma anche figlio di uno dei cosiddetti liquidatori di Cernobyl, gli eroi che misero in gioco la loro vita pur di spegnere l’inferno nucleare sprigionatosi proprio in Ucraina dal reattore numero 4 della centrale allora sovietica esplosa la notte del 26 aprile 1986. Un ricorso storico dall’eco inquietante, in un contesto in cui la minaccia atomica - quand’anche solo verbale - rischia di diventare militare. E che tuttavia potrebbe servire magari come monito in positivo.

Il conflitto

Il lavoro della diplomazia non ha fermato le armi. Alcune forti esplosioni sono state sentite a Kiev ieri sera e le sirene d’allarme hanno risuonato poco dopo la fine dell’incontro a Gomel. Kiev è una città sospesa. Le barricate sono state innalzate per proteggere la cittadella governativa e le trappole anti tank sono state disseminate nei punti nevralgici. Appena terminato il primo round nella capitale si sono udite tre potenti esplosioni: i video che rimbalzano nelle chat mostrano il cielo ormai scuro incendiarsi. La città non è più considerata sicura e i segnali sono quelli dei grandi preparativi di uno scontro micidiale. I supermercati sono presi d’assalto per garantire le scorte alimentari. L’assedio, insomma, oltre che duro potrebbe anche essere lungo. Molti altri pensano di scappare. I treni, come nei scorsi giorni, sono sempre più gremiti. C’è poi la fuga in auto, con la possibilità di trovare i militari russi o le strade danneggiate. Ancora, però, chi vuole partire lo può fare. Anzi, in un certo modo è stato incoraggiato a farlo. «La popolazione di Kiev può lasciare liberamente la città», ha annunciato l’esercito russo. 

Ma a voler scappare adesso non sono solo gli ucraini. C’è il problema dei tanti stranieri che ancora sono in città. Le rappresentanze diplomatiche rimaste fanno quello che possono, con enormi difficoltà. Gli europei si aiutano, fanno gruppo; preparano convogli comuni per garantire la sicurezza, specie per i bambini, alcuni anche molto piccoli se non in fasce. La Francia è andata via, l’Italia è ancora a Kiev. Ma sono gli ultimi sussulti. Il Portogallo smobilita oggi. L’Onu starebbe organizzando convogli e questa potrebbe essere una soluzione per evacuare gli sfollati. C’è la certezza che le cose a Kiev possano peggiorare, i segnali non sono buoni. Kharkiv è stata bombardata, i missili Grad si sono abbattuti sulla città. «Hanno colpito le zone residenziali, temiamo decine di morti», ha denunciato il governatore regionale Oleg Sinegoubov. 

Misure internazionali

«Le forze ucraine stanno resistendo in modo efficace attorno a Kiev», ha detto il portavoce del Pentagono, John Kirby, in un briefing ieri con la stampa. Altre fonti dell’amministrazione Usa hanno elogiato il modo «creativo» con cui gli ucraini stanno opponendo resistenza alle truppe russe. Intanto si rafforzano le misure internazionali contro Mosca. Ma occorre che non superino i limiti del buon senso. Per questo Downing Street ha dovuto correre ai ripari dicendo che il portavoce di Boris Johnson si è espresso male quando ha riferito le parole del premier secondo cui le sanzioni occidentali «mirano a far cadere il regime di Putin». «Solo un lapsus», la precisazione dopo la clamorosa gaffe. 

Intanto, si allunga la lista dei Paesi che inviano forniture militari all’Ucraina, oltre alla Germania, all’Italia, all’Olanda, la Francia, l’Estonia, la Repubblica Ceca, la Polonia si aggiungono anche la Finlandia e la Norvegia. Ieri però è arrivata la reazione dura del Cremlino all’invio di armi a favore di Kiev. «I cittadini e le entità dell’Ue coinvolti nella consegna di armi letali» all’Ucraina «saranno ritenuti responsabili per qualsiasi conseguenza di queste azioni». Lo afferma in una nota il ministero degli Esteri di Mosca, secondo cui coloro che hanno preso queste iniziative «non riescono a capire quanto siano pericolose le conseguenze». Lo riporta Interfax.

La Turchia nel frattempo ha vietato il transito di tutte le navi militari attraverso gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, da cui si accede al mar Nero. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu. «Abbiamo comunicato ai Paesi rivieraschi e non rivieraschi di non fare passare le navi da guerra attraverso gli stretti», ha spiegato Cavusoglu. «Applichiamo le disposizioni della convenzione Montreux» del 1936, che autorizza la Turchia a impedire alle navi da guerra di raggiungere il mar Nero attraverso i suoi stretti in caso di conflitto, ha aggiunto. «Dall’inizio della guerra, non abbiamo ricevuto richieste» per il passaggio «da parte di navi da guerra», ha comunque sottolineato il responsabile della diplomazia di Ankara.

© RIPRODUZIONE RISERVATA