Ucraina, il coraggio di papà Marco: «Scappo con i miei figli e racconto che è un gioco»

L’avventura di un fotografo romano da Leopoli alla Polonia: «Ai piccoli ho promesso che li porterò negli Usa»

Ucraina, il coraggio di papà Marco: «Scappo con i miei figli e racconto che è un gioco»
Ucraina, il coraggio di papà Marco: «Scappo con i miei figli e racconto che è un gioco»
di Nicola Pinna
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Domenica 27 Febbraio 2022, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 12:07

Con i paragoni, certo, bisogna essere prudenti. Soprattutto quando di mezzo ci sono la storia e le tragedie che innesca una guerra. Ma a seguire tappa dopo tappa la fuga di Marco Gallipoli e dei suoi due bambini c’è un ricordo che non può non tornare alla mente. È quasi automatico. Segui la loro impresa umana, le loro dirette su Facebook e i loro discorsi da famigliola felice in mezzo alle macerie, e subito ripensi a Roberto Benigni. A quell’idea geniale di vivere e raccontare il viaggio verso un campo di concentramento come se fosse una bella avventura. Un piacevole gioco, quasi una festa. Sì, la vita è bella e la famigliola italo-ucraina che si è ritrovava nell’orrore della guerra in Ucraina oggi ce lo ricorda. Ce lo mostra chiaramente, nonostante la drammaticità delle immagini che da quattro giorni arrivano dall’Est Europa piombato nell’incubo. Loro fuggono in Polonia e all’arrivo il papà romano sembra davvero Benigni: «Guardate che bello bambini, guardate quanta gente che ci aspetta».

Marco, Aurora e Flavio tra venerdì e sabato hanno camminato a piedi per moltissimi chilometri e lo hanno sempre fatto col sorriso.

Hanno avuto freddo e paura, sono passati in mezzo a mulattiere di campagna, si sono fatti aiutare da persone mai viste in faccia e hanno anche temuto di trovare chiusa l’unica via di fuga. Per gioire è bastato prendere spunto da ogni situazione apparentemente normale: dal caffè caldo con i biscotti offerto dagli abitanti di un paesino che non compare neanche sulle mappe, fino al momento di stendere il sacco a pelo in un dormitorio di fortuna per profughi. Si sono lasciati le bombe alle spalle, i tre eroi di questa allegra famigliola un po’ romana e un po’ ucraina. Da ieri pomeriggio papà Marco e i suoi ragazzi, che hanno 7 e 9 anni, sono finalmente in salvo, a Cracovia. E certo questo sarebbe già un buon motivo per sorridere. Ma loro hanno fatto tutta la strada, da quando si è deciso che era ora di fare i bagagli fino al momento della salvezza conquistata, senza mai perdersi d’animo. Senza pensare troppo all’orrore dei bombardamenti, dei tank tra le case, dei morti sui marciapiedi e dei soldati. «Noi vogliamo andare in America, poi però torneremo in Ucraina, quella è casa nostra», dicono Aurora e Flavio, di fronte alla videocamera di quello smartphone a cui in questi giorni in tanti stanno affidando il compito di lasciare alla storia il racconto del nuovo orrore del terzo millennio.

La famiglia

Marco Gallipoli fa il grafico e il fotografo e a Leopoli ha trovato l’amore e costruito una bella famiglia. «Ci siamo fatti accompagnare da un amico, non ho preso l’auto perché sapevo che ci sarebbe stata parecchia fila alla frontiera. A piedi, così ci avevano raccontato, si passa più velocemente. Ma stavolta non è stato facile. Dal punto in cui siamo scesi dall’auto abbiamo fatto altri 30 chilometri a piedi. Pensavamo che ci sarebbero volute 5 ore, ma ne sono bastate meno di tre. Per tutto il viaggio ho pensato che mi sarei dovuto inventare qualsiasi cosa per rendere questo momento il meno traumatico possibile per i miei bambini». 
Ed eccoli, Flavio e Aurora che dialogano in diretta Facebook come se fossero alle prese con un bel gioco. Quanto sia orribile la guerra lo hanno capito certo pure loro, ma alla fine la fuga senza programmazione e a perdifiato è diventata per loro una specie di avventura da film. «Nella strada - dicono sorridenti i due fratellini - tanta gente ci ha offerto da bere, il caffè, anzi il tè, poi pure i biscotti. È stato bello, adesso siamo in un altro posto». A Cracovia ora ci si può abbracciare più forte, nonostante la stanchezza degli zaini in spalla e delle tante ore fatte a piedi. «Mia moglie è rimasta a Leopoli, nella sua città: viene da una famiglia che ha già combattuto per impedire l’invasione sovietica e stavolta di certo non poteva tradire l’insegnamento che le ha lasciato la nonna, alla quale è anche dedicata la via nella quale abitiamo. Non poteva lasciare la sua gente, farà la volontaria, pronta ad aiutare i profughi che arriveranno già nei prossimi giorni. Anche io conto di tornare: porto i bimbi in Italia, poi andremo davvero negli Stati Uniti e alla fine tornerò a Leopoli».

Sotto zero

Durante il giorno, al confine tra Ucraina e Polonia, il termometro arriva a due gradi sotto lo zero e col buio va molto più giù. La notte Marco e i bambini l’hanno passata nelle aule calde di una scuola, rimasta aperta proprio per ospitare gli esuli della guerra scatenata da Putin. «Eravamo molto stanchi, io avevo addosso gli zaini di tutti, non c’erano alberghi. Abbiamo incontrato persone di tutte le nazioni. Tantissima la gente che sfuggiva, anche un altro italiano. Stamattina alle 6 eravamo già pronti a ripartire a piedi. Ma ci hanno accompagnato con un furgone: un’ora e mezza di viaggio. Alla frontiera ci sono persone che caricano in auto le famiglie con i bambini piccoli e noi siamo stati fortunati. La nostra salvezza è merito di tante persone e anche del nostro sorriso. D’altronde siamo romani, la buttiamo sempre in caciara».

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