A Bruxelles, nei palazzi del potere Ue, sono infuriati: «Orban è un ricattatore. E questo problema va risolto perché la guerra sarà lunga e l’Europa non può restare imballata per colpa dei suoi no». Si è ceduto al premier ungherese sull’embargo del petrolio con l’esenzione del suo Paese. E si è ceduto sulle sanzioni contro il patriarca Kirill inapplicabili all’amico di Outin e Orban perché quest’ultimo ha messo il veto. E insomma, che cosa fare con il “ricattatore”? Il premier ungherese ha offerto in queste ore l’ennesima prova della sua totale inattendibilità: dopo aver dato il via libera all’embargo europeo sulle importazioni di petrolio russo (al prezzo di vantaggiose eccezioni per il suo Paese che potrà continuare ad acquistarlo), ha disfatto nella notte la tela faticosamente tessuta il giorno prima insieme ai partner dell’Ue e posto un nuovo veto sull’intesa ancora fresca d’inchiostro. E ha vinto la sua partita.
Le richieste del "piccolo Putin"
Non gli è bastato questo.
La "democrazia illiberale"
A Bruxelles ormai ne parlano come “un piccolo Putin”. Anche se certe differenze tra le due autocrazie restano. Ufficialmente non c’è censura in Ungheria, al contrario che in Russia, ma poiché non esiste più alcun giornale che non sia di proprietà degli amici del premier, chi critica il Fidesz e la verità ufficiale, semplicemente perde il posto di lavoro. Ad aprile Orban ha vinto le elezioni per la terza volta consecutiva, ottenendo una maggioranza di due terzi in Parlamento. Poco da stupirsi, visto che dei suoi avversari non si è vista traccia, o quasi, in televisione e sui giornali. Sicuramente libera, non è stata una elezione equa, come hanno notato gli osservatori internazionale indipendenti che l’hanno vista da vicino. Eppure, ad appena due mesi dal voto, Orban si è fatto promulgare i poteri speciali, che detiene dallo scoppio della pandemia. I deputati, ormai del tutto ai suoi piedi, glieli hanno concessi senza fiatare. Orban continuerà dunque a governare per decreto, come ormai fa da quasi tre anni: è un uomo solo al comando. La misura tradisce però nervosismo e insicurezza. Orban è in difficoltà. La Commissione europea continua a trattenere i fondi del Next Generation EU destinati all’Ungheria, dove il premier e il suo governo fanno scempio dello Stato di diritto.
L'Ue a un bivio
Ma di quel denaro Orban ha urgente bisogno: ha fatto troppi regali elettorali a debito durante la campagna (ecco un’altra ragione della vittoria) e ora le casse pubbliche sono vuote. Ma l’uomo nero di Budapest non mostra alcuna intenzione di fare le riforme, a cominciare dalla giustizia, che gli chiede Bruxelles. Questa la domanda: fino a quando a Viktor Orban sarà permesso di abusare della pazienza dell’Unione europea? L’Unione europea è al bivio. Può riformarsi in modo da prendere decisioni più rapide, incisive, e accelerare il processo di integrazione, come auspica Macron coi paesi fondatori come l’Italia. O può restare dov’è: inchiodata ai veti di Viktor Orbán, e perciò ricattabile. Il premier ungherese non ha neanche avuto bisogno di firmare il documento avanzato nel giorno della festa dell’Europa da 13 governi per stroncare ogni progetto di riforma dei trattati. Per l’Ungheria restare sul crinale è proficuo: le serve, assieme allo stop all’embargo energetico, per sbloccare i fondi Ue ancora in sospeso. Orbán, sodale di Putin, varco di Russia e Cina nell’Unione, ha fatto del potere di veto in Ue il suo strumento tattico per eccellenza. A cominciare dalla riforma dei trattati, passando per le liste transnazionali, nessun avanzamento dell’integrazione europea è possibile senza uscire dalla trappola dell’unanimità. Il nodo è questo, come ben sanno il presidente Mattarella e Mario Draghi, due europeisti doc: superare il sistema dell’unanimità nelle votazioni Ue. La Von der Leyen è sulla stessa linea. Sennò Viktator il Ricattatore continuerà a vincere e con lui Putin.
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