Ucraina-Russia, cosa succede ora? Strategia Putin, negoziati, Abramovic, scenari futuri: ecco cosa sappiamo

Si andrà avanti nei prossimi giorni in una nuova location, questa volta al confine tra Polonia e Bielorussia

Negoziati Russia-Ucraina, come sono andati? Cosa ha chiesto Putin? Chi era al tavolo? Domande e risposte
Negoziati Russia-Ucraina, come sono andati? Cosa ha chiesto Putin? Chi era al tavolo? Domande e risposte
di Simone Pierini
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Martedì 1 Marzo 2022, 11:03 - Ultimo aggiornamento: 18:38

Un incontro durato sei ore, il primo di una trattativa tra Ucraina e Russia che si preannuncia lunga e carica di tensione. Il primo teatro di un tentativo di tregua è stata una località segreta al confine della Bielorussia, nella regione di Gomel. Lì sono partiti i negoziati tra Mosca e Kiev che, al termine della giornata, non sembra abbiano portato ad alcun accordo. Ma si andrà avanti nei prossimi giorni (già domani secondo la Tass) in una nuova location, questa volta al confine tra Polonia e Bielorussia. Allo stesso modo però non si ferma l'attacco russo che ha preso di mira le due principali città ucraine: Kiev e Kharkiv. 

Le prime (differenti) conclusioni

Dal punto di vista ucraino dai negoziati non si è ancora ottenuto il risultato sperato. A sottolinearlo è stato in un video il presidente ucraino, Volodymir Zelensky. «La Russia ha illustrato le sue posizioni, noi abbiamo avanzato contro-argomentazioni per porre fine alla guerra», ha spiegato. Dopo il rientro della delegazione a Kiev e l'analisi delle posizioni rispettive verrà deciso come procedere nel secondo round di negoziati, ha aggiunto. A caldo il primo commento è stato anche più netto. In un tweet Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente, ha definito il confronto «difficile» e la posizione russa «estremamente parziale e faziosa». Più morbida la posizione che arriva da Mosca. «Abbiamo trovato alcuni punti su cui è possibile individuare un terreno comune», ha spiegato il negoziatore russo Vladimir Medinsky anticipando il secondo incontro. 

Cosa ha chiesto Putin?

I dettagli del negoziato non sono stati rivelato a fondo. Ma le richieste di Putin sono emerse dopo un confronto telefonico con il presidente francese Emmanuel Macron. Lo "zar" ha dettato le sue condizioni per far tacere le armi ed arrestare l'avanzata dei carri armati verso Kiev: Ucraina neutrale e riconoscimento della Crimea come territorio russo. Il presidente russo chiede la «smilitarizzazione e de-nazificazione» di Kiev, che dovrà assumere «uno status neutrale».

Basta armi dall'Occidente, mentre l'adesione alla Nato resta «la linea rossa». L'Eliseo ha sottolineato invece l'impegno del numero uno del Cremlino a «sospendere tutti gli attacchi contro i civili e le abitazioni» e a «restare in contatto nei prossimi giorni per prevenire l'aggravamento della situazione». I fatti però hanno smentito questo impegno con le immagini provenienti da Kiev e Kharkiv che hanno mostrato pesanti bombardamenti, anche su aree civili. 

Qual è la posizione dell'Ucraina?

La delegazione inviata dal presidente Zelensky chiede a gran voce il cessate il fuoco. Il popolo ucraino sta resistendo con tutte le proprie forze all'attacco russo, ma le perdite iniziano a diventare numerose. Al termine dei colloqui con i russi, mostrando pessimismo sull'esito del negoziato, l'Ucraina ha chiesto ufficialmente di essere ammessa nell'Unione europea. La risposta al momento è tiepida e il consiglio dell'Ue è diviso. A spingere per l'ingresso sono i leader di otto Paesi, che hanno diffuso un comunicato congiunto a sostegno della richiesta ufficiale firmata dal presidente ucraino. Si tratta di Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia.

Chi sono quelli che hanno trattato al tavolo?

Due schieramenti, posizionati ai due lati del tavolo. Da una parte il ministro della Difesa Oleksii Reznikov, un fedelissimo del presidente Zelensky, a guidare la delegazione ucraina. Alla testa della controparte russa, Vladimir Medinsky, consigliere di Putin, ex ministro della Cultura (2012-2020), molto noto per il suo estremo nazionalismo. Questi gli altri partecipanti alla delicatissima riunione: dal lato ucraino del tavolo David Arakhamia, leader del partito di Zelensky, il vice ministro degli Esteri, Mykola Tochytskyi, già ambasciatore ucraino presso la Ue e poi in Gran Bretagna; Mikhailo Podoliak, consigliere del presidente e in questi giorni drammatici suo instancabile portavoce con i media, Rustem Umerov, uno dei tre deputati eletti a Kiev, Andryi Kostin, vice capo del gruppo di contatto trilaterale (tra Russia, Ucraina e l'Osce) per un cessate il fuoco nel Donbass. Per quanto riguarda la delegazione russa, accanto a Medinsky ci sono Alexander Fomin, il generale viceministro della Difesa, Andrei Rudenko, vice ministro degli Esteri dal 2019, dopo tre anni alla direzione del dipartimento che cura i rapporti con le ex repubbliche sovietiche, soprattutto Ucraina, Bielorussia e Moldavia. Nelle foto dell'incontro non è comparso Roman Abramovich, fra i più ricchi oligarchi russi, che, secondo il Jerusalem Post, su richiesta di Kiev sarebbe stato presente per partecipare ai negoziati. Il suo portavoce da Londra si è limitato a confermare il suo impegno negoziale senza fornire dettagli specifici. «Anche se l'influenza di Roman Abramovich è limitata - ha aggiunto - si è reso disponibile a fare un tentativo».

Il ruolo di Abramovic?

Al tavolo si sono seduti in dieci, 6 ucraini e 4 russi; ma il giallo sui negoziati partiti nelle scorse ore in Bielorussia per cercare di trovare uno straccio d'accordo per un cessate il fuoco in Ucraina, ruota tutto attorno al fantasma del presunto undicesimo uomo della trattativa, neanche fosse una squadra di calcio. Quel Roman Abramovich, oligarca simbolo fra i signori del business post-sovietico in Russia, che il Jerusalem Post prima e un suo portavoce poi hanno indicato quale ipotetico mediatore-ombra impegnato a facilitare l'intesa. La realtà delle immagini ufficiali ha mostrato in effetti in scena solo i 10 delegati delle due parti scelti fra politici, diplomatici e militari. Team alla cui guida si ergono due falchi incaricati - chissà - di farsi colombe: da un lato Oleksii Reznikov, ministro della Difesa di Kiev proveniente dalla roccaforte del nazionalismo ucraino di Leopoli e fedelissimo del presidente Volodymir Zelensky; dall'altro l'ex ministro Vladimir Medinsky, consigliere di Vladimir Putin e già titolare del dicastero della Cultura di Mosca, noto come una sorta d'ideologo del neo revanscismo putiniano, ma anche figlio di uno dei cosiddetti liquidatori di Cernobyl, gli eroi che misero in gioco la loro vita pur di spegnere l'inferno nucleare sprigionatosi proprio in Ucraina dal reattore numero 4 della centrale allora sovietica esplosa la notte del 26 aprile 1986. Un ricorso storico dall'eco inquietante, in un contesto in cui la minaccia atomica - quand'anche solo verbale - rischia di diventare militare. E che tuttavia potrebbe servire magari come monito in positivo. Mentre fra i commentatori ci si interroga sull'asserito ruolo di Abramovich, patron a Londra del Chelsea Football Club e mister 14 miliardi di dollari. A dar credito alla stampa d'Israele, Paese in cui Roman Arkadievic si è procurato un secondo, provvidenziale passaporto grazie alle radici familiari ebraiche, la sua risulterebbe essere una presenza chiave dietro le quinte. Mentre un portavoce del Chelsea, pur confermandone l'impegno «negoziale», lo ha ridimensionato a «un tentativo», senza precisare se in effetti l'uomo d'affari sia stato davvero coinvolto direttamente sul posto nei colloqui bielorussi o meno. «È stata la parte ucraina a contattarlo per dare sostegno alla ricerca di una soluzione pacifica» e lui «ci sta provando fin da quel momento», si è limitato a dire il portavoce. Le cui parole non cancellano nel Regno Unito il sospetto che possa trattarsi in effetti di un'operazione pr, se non di una millanteria. Pianificata per cercare di far dimenticare i suoi solidi - seppur cauti - legami ultraventennali con Putin e il Cremlino in tempi di escalation di ritorsioni economiche britanniche e occidentali contro la Russia dello zar Vladimir. Un'escalation che minaccia sodali veri e presunti, vecchi e nuovi, fedeli e meno fedeli del presidente, fra i quali il nome di Abramovich rischia di essere un bersaglio di spicco: da prendere di mira per dare l'esempio a quella che fu la Londongrad sul Tamigi. Anche oggi in Parlamento le opposizioni laburiste e libdem non hanno mancato di citarlo del resto apertamente, per intimare al governo Tory di Boris Johnson di non fare sconti nemmeno a lui sulle pesantissime sanzioni appena introdotte; e di non risparmiare il suo tesoro londinese fra gli asset russi da colpire, ove se ne dovesse mettere in discussione la provenienza «opaca». O consentirgli di nascondersi dietro «artifici» tipo il semplice passaggio del Chelsea agli organi di gestione della squadra: annunciata giorni fa senza alcuna conseguenza, al momento, sui titoli di proprietà.

 

 

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