Coronavirus, come vivono la pandemia le famiglie romane a Londra, Parigi e Ginevra

Ginevra (foto Sabrina Pisu)
Ginevra (foto Sabrina Pisu)
di Valentina Venturi
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Martedì 17 Marzo 2020, 19:57 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 12:49

Londra, Parigi e Ginevra. Tre città viste dalla prospettiva di altrettante famiglie romane che vivono lontane da casa, separate dai loro parenti e bloccate dal Covid-19 che sta infettando l’Europa.

Paola Di Felice vive a Londra da 10 anni e con il marito Lorenzo hanno messo al mondo Simone e Arianna. Lavora da casa come account manager di una società di sviluppo web e racconta che nei supermercati «c’è il panico. Si fanno acquisti folli come se si dovesse affrontare una situazione da post bomba atomica. Non si capisce la ragione ma mancano le uova, ho girato 4 supermercati ed erano finite ovunque. È finito anche il paracetamolo, sia per adulti che bambini, le mascherine e l’amuchina da tempo. Per non parlare della carta igienica: ieri (lunedì, ndc) al posto della carta igienica la gente ha usato altro e ha intasato le fogne».

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Eppure la vita non sembra essere cambiata molto, tra pub e palestre aperti, sebbene il premier Boris Johnson abbia fatto retromarcia sull’immunità di gregge, mettendo la Gran Bretagna in semi-quarantena e i ristoranti italiani vengano disertati. «I proprietari - conclude Paola - ci hanno detto che ogni giorno peggiora: i clienti sapendo che sono italiani pensano che diffondano il virus. C'è molta ignoranza e manca la serenità, ma questa anche in Italia...».

Da cinque anni vive a Parigi Sara Pennisi, impiegata in una multinazionale, che sta constatando come «le mamme abbiano iniziato ad inventarsi attività per i figli, pulizie pasquali e découpage. Avevo fatto la spesa in anticipo, ma vedo che anche qui i supermercati sono stati presi d’assalto. Per gli italiani all’esterno è stato un continuo ripeterci “lo sapevamo”: anche se nessuno ci credeva, sapevamo che il virus stava arrivando fino a qui. Oggi (martedì, ndr.) a Parigi è il primo giorno di shut down, nei prossimi giorni si capirà meglio cosa fare. Di certo sono aumentate le video chiamate con i miei cari, si parla di più con le persone. Mi auguro però che finisca al più presto, non ci credo ancora».
 
A Ginevra solo adesso i cittadini e la politica sembrano prendere coscienza della gravità della situazione, il Consiglio federale il 16 marzo ha dichiarato la "situazione straordinaria” e fino al 19 aprile restano chiusi bar, ristoranti, locali pubblici, scuole e negozi non alimentari. Stando ai racconti di Sabrina Pisu, giornalista e autrice insieme al magistrato Vincenzo Calia del libro "Il caso Mattei" (Chiarelettere), che vive a Ginevra da un anno e mezzo «con un bambino a casa, il tempo è per lui. In quello libero che resta, lavoro, porto avanti la scrittura del mio terzo libro e leggo. È un tempo sospeso, fatto di riflessioni sul presente e su come e se cambierà il concetto di libertà e la società nel futuro che ci attende».

Un tempo che mette in discussione le distanze, rendendole esponenziali, mentre prima sembravano inesistenti. «Il Coronavirus - prosegue la giornalista - ci sta rendendo tutti esuli, dentro e fuori dall’Italia, ed è così che ora mi sento. Chi ha un genitore che si è ammalato convive con la paura di perderlo, sentendosi impotente. Le frontiere sono diventate, improvvisamente, muri invalicabili, a partire dalla porta di casa.

Mi auguro che l'Unione Europea sia in grado di restare compatta e dare una risposta sovranazionale, l’unica efficace in questo momento».

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