Il climatologo Carlos Nobre, Nobel per la Pace: «Siamo sul punto di non ritorno»

Il climatologo Carlos Nobre, Nobel per la Pace: «Siamo sul punto di non ritorno»
di Franca Giansoldati
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Giovedì 10 Ottobre 2019, 18:46 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 23:29

Città del Vaticano – «Purtroppo sul clima siamo molto vicini al tipping point, il punto di non ritorno. Le temperature nelle regioni polari hanno quasi già raggiunto questa soglia con conseguenze enormi per via delle quantità di ghiaccio che si scioglie ed entra nelle acque degli oceani». Il brasiliano Carlos Nobre, uno dei massimi climatologi al mondo, Premio Nobel per la Pace nel 2007 e conosciuto per i suoi studi sull'Amazzonia, in questi giorni è di passaggio a Roma. Stamattina ha fatto un intervento al Sinodo. Lui è uno degli esperti che sono stati interpellati anche dal Papa. Scherza sul fatto che non conosce l'italiano nonostante i nonni di Potenza. In una intervista al Messaggero affronta l'argomento più scottante del momento: la sfida climatica.

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Non tutti però sono d'accordo nel ritenere fondato tanto allarmismo. Che ne pensa?
«La cosa triste è vedere questa enorme massa di fake news attribuita a sedicenti istituti di ricerca, a loro volta finanziati da centri potentissimi e ricchi, legati all'agroalimentare, agli idrocarburi. E' tutto così chiaro. Minimizzano sulle conseguenze. Ma i cambiamenti climatici sono una realtà anche se una serie di interessi economici continuano a negarli. Cercano di rifiutare quello che ormai è assolutamente ovvio e che afferma il 99 per cento degli scienziati. Tra noi scienziati c'è unanimità sul tema». 

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Intanto il pianeta si fa sempre più caldo?
«Ormai è assodato che l'attività umana ha un peso enorme, parlo dei gas che si immettono nella atmosfera, l'inquinamento dovuto agli idrocarburi, il fatto che si bruciano le foreste, poi c'è il peso dell'agroalimentare, degli allevamenti intensivi. Tutto questo è assolutamente ovvio per noi scienziati. Accanto a questo tuttavia viaggiano in parallelo delle fake news create ad arte: vengono supportate da sedicenti scienziati per la maggior parte collegati alle industrie che non vogliono perdere il potere economico acquisito. Questo è per sintetizzare molto». 


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Le fake news sono create ad arte?
«Si, fanno capo a improbabili istituti di ricerche. Ed è una cosa molto triste. Ma io penso che il movimento negazionista sia destinato a non durare a lungo, e sono molti i fattori che ce lo indicano. Già il 90 per cento della popolazione del pianeta non crede a questa massa di nozioni fasulle e fuorvianti. La gente è consapevole che il cambiamento purtroppo esiste, è reale ed è molto pericoloso per il futuro di tutti. I social media possono pure pompare questo fiume di nozioni fake, false ma basta guardarsi attorno per capire che i cambiamenti hanno una matrice legata alla attività diretta dell'uomo». 

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Che segnali ci sono?
«Abbiamo visto nel Nord Europa temperature mai viste prima, il riscaldamento degli oceani e le conseguenze che comportano i fenomeni estremi del clima, abbiamo visto il cambiamento della morfologia di tanti territori ormai privi d'acqua. I ghiacciai che si stanno sciogliendo, in Antartide ci sono mutazioni preoccupanti. Non è propaganda. Questi sono fatti». 

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Eppure ci sono istituti che propagano fake news... 
«Un po' quello che accadeva negli anni Settanta con l'industria del tabacco. I primi studi indicavano un legame stretto e chiaro con i tumori. Il fumo fa venire il tumore, il cancro, problemi cardiovascolari. All'epoca però – allo stesso modo – venivano propagate a diversi livelli delle informazioni differenti, tese a negare questo nesso per preservare il potere delle industrie del tabacco. Per almeno una decina d'anni abbiamo assistito ad un bombardamento mediatico. Ecco, anche per il clima è la stessa cosa. Una questione di tempo. Solo che stavolta il tempo sembra limitato».

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E stiamo arrivando al tiping point in tante areee della terra... 
«Gli scenari se non arrestiamo il freno a mano sono brutti. L'aumento del livello del mare, la fuoriuscita di metano dalle viscere degli oceani e si immetterà nell'atmosfera. Insomma, l'inferno. Non è bello raccontare queste cose, sono proiezioni che facciamo noi nei laboratori in base a dei dati. In vent'anni si potrebbe assistere all'estinzione del 50 per cento delle specie animali e vegetali. Non è uno scherzo». 

Bisogna avere il coraggio di dire basta. 
«Bisogna didurre le emisioini e velocemente. E se non lo facciamo prendiamo i rischi, non tanto per la mia generazione ma per la prossima».

Che ne pensa di Greta?
«Non l'ho mai conosciuta, eravamo entrambi a New York ma non ho avuto modo di incrociarla. E' una figura che offre messaggi positivi. Il messaggio principale non è tanto per i suoi coetaniei, ma per noi, 50enni o 60enni. Questa ragazzina ci dice: ascoltate gli scienziati, non me, prestate loro fede». 

Cosa fare per evitare il baratro?
«Ci sono soluzioni, è naturale.

Ma occorre un radicale ripensamento  dei nostri stili di vita. Si tratta di cambiare il nostro rapporto con il mondo, la natura, scegliendo un nuovo cammino, sostenibile. Greta è un simbolo, una bandiera. E io spero che possa avere successo. I ragazzi della sua generazione tra 10 anni sarrano quelli che cambieranno le cose» davvero.

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