Azovstal, i messaggi dall'inferno dell'acciaieria: «Nascosti tra cadaveri in putrefazione, per bere solo l'acqua dei radiatori»

La disperazione di chi è rimasto intrappolato nell'acciaieria nei messaggi inviati da uno dei soldati del reggimento Azov alla moglie

Azovstal, i messaggi dall'inferno dell'acciaieria: «Nascosti tra cadaveri in putrefazione, per bere solo l'acqua dei radiatori»
Azovstal, i messaggi dall'inferno dell'acciaieria: «Nascosti tra cadaveri in putrefazione, per bere solo l'acqua dei radiatori»
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Giovedì 12 Maggio 2022, 12:24 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 03:23

«Yulia mi devi fare un favore: sta finendo anche l’acqua dei macchinari, la stiamo centellinando, mi puoi cercare un articolo su come sopravvivere il più a lungo possibile senza bere acqua?» È un messaggio che arriva direttamente dall'inferno quello che Yulia moglie di Arseniy Fedosiuk, 29 anni, ha ricevuto lo scorso 9 maggio, pochi giorni prima di incontrare Papa Francesco a Roma. Il marito di Yulia è un membro del battagione Azov e da settimane si trova in condizioni disperate nei sotterranei del'acciaieria Azovstal, ultimo baluardo della resistenza ucraina contro i russi in città. Yulia è stata ospite del pontefice nell'udienza generale a San Pietro insieme alle altre compagne e mogli degli uomini del reggimento Azov. 

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Mentre i civili sono stati evacuati grazie a un corridoio umanitario, i soldati del regimento sono nascosti da settimane senza cibo né acqua, tra i cadaveri in decomposizione dei propri compagni morti, torturati dai colpi del nemico e dagli incubi notturni. 

Nell'ultimo video pubblicato dal reggimento su internet si parla ormai di "una fine vicina": da due giorni i russi hanno intensificato gli sforzi, aggiungendo agli attacchi aerei anche i carri armati.

I soldati sanno che in qualunque momento potrebbero cadere in mano nemica e verrebbero torturati e uccisi. 

L'inizio della guerra in una chat: Hanno bombardato Kiev, stai al sicuro

Arseniy Fedosiuk, 29 anni, si è laureato in storia nella migliore università del paese. Nel 2014 partecipò alle proteste in piazza Maidan, poi la scelta di imbracciare le armi e partire per il fronte del Donbass. Si trovava proprio lì, nelle regioni orientali, quando Putin ha lanciato il primo attacco su vasta scala in Ucraina, bombardando Kiev: «Yulia sono sotto choc, hanno bombardato Kiev, sanno che noi siamo concentrati sul Donbass. Mi raccomando stai a casa al sicuro, cerca di non uscire, ci sentiamo presto» sono state le prime parole che ha inviato a Yulia quel 24 febbraio. 

L'inferno dell'acciaieria 

Yulia scorre nel telefono i messaggi inviati dal marito sin dall'inizio della guerra. Dentro c'è il dolore, la paura, i momenti di speranza che hanno attraversato in questi due mesi e mezzo di conflitto. E c'è la resistenza, ormai stremata, all'interno dell'acciaieria: poche parole per dirsi tutto, nella consapevolezza che ogni frase potrebbe essere l'ultima. «Sono giorni ormai che non vediamo la luce. Siamo come talpe che si muovono senza sosta: anche se siamo a corto di armi, siamo riusciti a respingere i tentativi dei nemici di farsi strada nei sotterranei. Ma anche di notte non c’è pace: faccio incubi tremendi» scrive Arseniy il 6 maggio, dopo settimane di resistenza. Mentre la situazione peggiore di ora in ora, nella mente si insinuano i dubbi: «Lo so che stai facendo di tutto. Ma a volte ci sentiamo abbandonati da Kiev. La resa non è un’opzione, verremmo torturati e uccisi. Ma fino a quando possiamo resistere? Zelensky potrebbe spingere di più sulla via diplomatica, non credi?» scrive in un altro messaggio. 

 

Senza acqua: «Ogni ora potrebbe essere l'ultima»

Mentre gli occhi del mondo sono puntati su Azovstal, i messaggi di Arseniy testimoniano che le condizioni di vita di chi resiste sono sempre più disperate: per sopravvivere i soldati hanno bevuto anche l'acqua dei macchinari, e anche se è stata centellinata ora sta finendo. «Oggi è morto un altro caro amico» scrive il 3 maggio «Era ferito ma non potevamo curarlo, ci mancano i mezzi. È il terzo in pochi giorni che se ne va così. In questi anni eravamo diventati come fratelli. Sto male. Mi fa male anche pensare che non possiamo neanche seppellirli. Non abbiamo celle frigorifere.I loro corpi vanno in decomposizione, non è giusto essere privati anche della sepoltura! Non possiamo non pensare alle nostre vite appese a un filo, al nostro destino. Per noi ogni giorno, ogni ora potrebbe essere l’ultima».  

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