Filomena Lamberti, prima donna in Italia sfigurata con l'acido dal marito: «Quando è uscito dal carcere ha detto: "Lo rifarei"»

La donna, che oggi ha 64 anni e ha subito 30 interventi, racconta. "È il 28 maggio 2012. Mentre dormo mi si avvicina e mi bussa sulla spalla. Urla: guarda che ti do. Su viso e corpo mi versa una bottiglia di acido solforico"

Filomena Lamberti, 64 anni, prima donna sfigurata dall'acido dal marito
Filomena Lamberti, 64 anni, prima donna sfigurata dall'acido dal marito
di Carla Massi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 23 Novembre 2022, 13:02 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 07:28

Sono le 4 del mattino e Filomena Lamberti, a Salerno, sta dormendo nel suo letto.

Ha sonni agitati. Dopo trent’anni di matrimonio con un marito molto violento ha deciso di divorziare. I tre figli maschi sono grandi, possono andare per la loro strada. È il 28 maggio 2012. «Mentre dormo - racconta Filomena che oggi ha 64 anni - mi si avvicina e mi bussa sulla spalla. Urla: guarda che ti do. Su viso e corpo mi versa una bottiglia di acido solforico». È la prima donna, in Italia, aggredita e sfigurata in questo modo.

Si può chiedere come sta nonostante i trenta interventi, un viso e un corpo piagati dalle cicatrici e il suo dolore.

«Certo che si può chiedere! Il mio corpo bruciava e anche la mia anima.

Bruciavano la fronte, gli occhi, il naso, il mento, il collo, i capelli, il braccio, i fianchi, le gambe. Ma oggi sono una donna libera che ha ricominciato a vivere. Sto sempre un po’ meglio. Anche se, come è evidente, quel gesto su di me si vede».

E dopo di lei molte altre donne sono state massacrate dall’acido.

«Purtroppo sì. Ma, per fortuna, oggi i colpevoli vengono puniti nel modo giusto. Mio marito è stato condannato solo a diciotto mesi per lesioni gravi in famiglia. Ne ha scontati quindici. Meno di un mese dopo l’aggressione il processo era concluso. Ci furono rito abbreviato e patteggiamento. Io ero ancora in terapia intensiva. Non sono stata mai vista, né ascoltata da nessuno, nemmeno dall’avvocata di fiducia che nominai».

Quando suo marito è uscito dal carcere ha fatto commenti?

«Ha detto: lo rifarei».

Lei racconta il suo matrimonio come una storia di scenate e violenza.

«Abusava di superalcolici, diventava aggressivo. Io ero convinta, come tante altre, di poter fare la crocerossina e di cambiarlo. Macché. Erano solo botte e insulti. Sola contro un mostro. Un grande amore si trasformava sempre più in odio».

Lavoravate insieme, per questo ha aspettato tanto per la separazione, vero?

«Avevamo una pescheria insieme. Temevo di trovarmi senza disponibilità economica. A un certo punto, però, non ce l’ho fatta più. È iniziata la mia ribellione. Lui mi minacciava dicendomi: se te ne vai, ti metterò su una sedia rotelle, ti spezzo le gambe. Oltre ai soliti epiteti “puttana” e “cessa”».

Lei come reagiva?

«Gli dicevo: meglio la sedia a rotelle che finire i miei giorni accanto a te».

Le sue parole dopo l’aggressione?

«Parole non ne potevo dire, visto come ero ridotta. Quando sono arrivata al Centro grandi ustionati al Cardarelli di Napoli, come ho scritto nel mio libro “Un’altra vita”, edito dall’associazione a cui appartengo “Spaziodonna” di Salerno, ho pensato: sono una donna libera, finalmente».

Torniamo alla domanda: signora come sta? Riesce a muoversi nonostante uno strazio simile sul suo corpo?

«Ho un braccio più corto dell’altro perché le cicatrici me lo hanno fatto ritirare. Il viso e il collo sono sempre meno elastici. Ma i trattamenti sono costosi e non me li posso permettere».

Non fanno parte della terapia?

«No, nel nostro Paese le cicatrici non sono considerate malattia ma solo estetica. Ho dovuto rinunciare a molte cure. Le cicatrici degenerano e peggiorano».

Il sistema sanitario copre gli interventi e salva la vita ma il dopo è a carico del paziente?

«Esatto. Io sono stata ultimamente aiutata dall’associazione “Women for women” di Donatella Gimigliano che mi ha dato l’opportunità di usufruire della metodologia Biodermogenesi per la rigenerazione tissutale. Sono stata inserita nel progetto RigeneraDerma che offre gratuitamente a 500 persone, che non possono permettersela, la cura per le cicatrici. Le donne che hanno subito violenza in testa».

Filomena, ora sta meglio?

«Questa terapia mi sta permettendo di riacquistare la sensibilità. Avverto la consistenza delle guance. Sento di nuovo il vento in faccia. Non me lo ricordavo più. Anche questo cancella un’aggressione con l’acido. Come ricordo sempre ai ragazzi quando vado a parlare nelle scuole».

Passa molto tempo a parlare con i giovani.

«Sì, mi faccio vedere. Mica posso star chiusa in casa perché ho il viso devastato. Con loro porto avanti la mia battaglia».

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