Il Museo della Fondazione Rovati: 5mila anni di arte per una cura di bellezza

Giovanna Forlanelli
Giovanna Forlanelli
di Claudia Guasco
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Mercoledì 28 Settembre 2022, 13:09 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 13:02

La Fondazione Luigi Rovati, nel cuore di Milano, è uno scrigno di tesori.

Il pezzo più antico, una statua cinese in legno, ha cinquemila anni ed è accostata ai quadri colorati di Luigi Ontani. La preziosa collezione etrusca, con i raffinati bronzi, gli ex voto e le urne cinerarie, dialoga con le opere contemporanee di William Kentridge, Pablo Picasso e Arturo Martini. La tela di Andy Warhol che raffigura i due danzatori della Tomba delle leonesse di Tarquinia è accanto agli acquarelli degli ipogei dipinti nell’800, antesignani della fotografia. E poi c’è la panchina di legno chiaro, sistemata in giardino tra faggi e un bagolaro centenario. «La vedo dalla finestra del mio ufficio e mi piace osservarla. È un mondo. C’è chi si siede per leggere un libro, per sfogliare un giornale o solo per chiacchierare», racconta Giovanna Forlanelli. È il pezzo meno prezioso custodito nel suo museo d’arte, ma uno di quelli che le sta più a cuore perché riassume ciò che ha voluto creare per la città: «Non solo uno spazio per condividere la collezione di famiglia, ma un ambiente di cura e benessere per le persone».

LE OPERE

Giovanna Forlanelli è medico, donna d’azienda, editrice e appassionata collezionista. È direttore generale della Rottapharm Biotech, società di ricerca scientifica e farmaceutica, ha fondato la “Johan & Levi” che si è affermata in pochi anni come una tra le più attive e riconosciute case editrici d’arte indipendenti italiane e nel 2016 ha dato vita al progetto che salda le sue anime imprenditoriali. Con il marito Lucio Rovati e la figlia Lucrezia ha creato la Fondazione Luigi Rovati e tre settimane fa ha spalancato le porte del museo privato. Sino a fine settembre per visitare la collezione non si paga il biglietto, per rigenerarsi nel giardino basta varcare l’atrio, il bookshop è stato pensato per diventare la libreria di quartiere. «Questo palazzo è il simbolo di una fondazione aperta, di un luogo senza barriere che si integra con la città, di una storia del mecenatismo che si fonde con il Planetario, proprio qui di fronte, commissionato negli anni ‘30 dall’editore italo-svizzero Ulrico Hoepli», spiega Giovanna Forlanelli.

Si muove tra le sale e gli spazi con la gioia di chi ha appena inaugurato la casa dei sogni, felice di condividere i 250 preziosi reperti della civiltà etrusca custoditi nelle teche di cristallo, accarezza la pietra forte fiorentina usata dall’architetto Mario Cucinella per realizzare l’area ipogea con le cupole che si ispirano ai tumuli di Cerveteri. «La nostra sfida è inserire sempre qualcosa di nuovo per cambiare la percezione, per rappresentare l’arte che continua nel tempo. Qui il centro è l’essere umano», riflette. Ed è una storia che Giovanna Forlanelli si porta alle spalle: «Siamo una famiglia di medici e imprenditori che hanno curato le persone con prodotti inventati dal fondatore, Luigi Rovati. E in un posto come questo le persone devono sentirsi accolte, l’inclusione per noi è uno degli otto codici fondamentali. Ma è anche il luogo delle idee. Noi abbiamo scoperto farmaci e vorremmo che queste sale stimolassero la creazione, soprattutto nei giovani». Il valore aggiunto, spiega sorridendo, è che qui la parità di genere è al contrario, il team del museo è composto al 90% da donne e «mi sa che dovremo procedere all’assunzione di qualche quota azzurra».

SINTONIA FEMMINILE

Un caso davvero unico nel mondo imprenditoriale che comincia nel 2005, quando «la casa editrice che ho fondato era composta esclusivamente da donne. Ora c’è il museo, dove la componente femminile è predominante a cominciare dalla direttrice Monica Loffredo. La sintonia è perfetta». I dati di Assolombarda fotografano un’imprenditoria in rosa particolarmente effervescente e, può sembrare un paradosso, la pandemia ha dato una spinta. «La società è diventata più fragile, sono emersi nuovi bisogni e alla fine chi si è occupato dei figli e dei genitori anziani, pur lavorando, sono sempre state le donne. Che ora hanno un vantaggio in un mondo con accresciute necessità di ascolto, sensibilità e accoglienza. Inoltre la formazione nelle materie Stem si sta ampliando e spesso le donne uniscono la formazione scientifica alla cultura umanistica, hanno maggiore cura del dettaglio e grandi capacità organizzative. Vedo ragazze che fanno tanti sacrifici, perché a casa hanno una famiglia da seguire, eppure sono felici di sposare il nostro progetto». Alle più giovani consiglia «etica del lavoro, fondamentale, e ascolto». Vero che le ragazze e i ragazzi «sono molto preparati, studiano, conoscono le lingue, viaggiano. Però devono imparare ad ascoltare: dopo il Covid alcuni giovani non riescono più a essere inclusi, isolandosi però non vanno da nessuna parte. È ciò che ho detto agli studenti dell’Accademia di Brera: quando lavorate a un progetto, collaborate perché il mondo del lavoro non cerca più solo specializzati, ma chi ha una visione trasversale. Fate gruppo, confrontatevi, partecipate insieme ai bandi. Parlatevi e soprattutto ascoltate». 

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