Lavoro, il paradosso delle over 40: troppo grandi per la carriera ma perfette manager Polemiche e suggerimenti

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di Maria Lombardi
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Mercoledì 25 Maggio 2022, 15:19 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 06:33

Anta, anzi orgogliosamente over. Ma chi l’ha detto che il più è fatto.

Che la strada, quella del lavoro, è segnata e ormai in discesa, che anche i sogni, come i successi, sono ex. Che si avvicinava il tempo in cui pian piano si scivola nell’ombra, più vicine alla cantina che al soffitto, accade spesso. Che tornare a correre sia più difficile che restare dove non si sorride da tempo. E chi l’ha deciso che bisogna esibire nel curriculum tante caselle vuote, senza figli, marito, compagno, amici, cani e hobby, un vuoto esistenziale da riempire con un super lavoro, per essere scelte, anzi le prescelte. Quasi ai margini e di nuovo al centro della scena, dimenticate e lavoratrici ideali, il paradosso over anta. Care «ragazze cresciute», vi hanno chiamato anche così, uscite dal mood cantine e tramonti (della carriera), ma ribellatevi anche al martirio inchiodate alle scrivania. “C’è vita dopo i 40”, per dirla con l’influencer Selvaggia Capizzi esperta di ripartenze. E non deve essere per forza una vita con il pc acceso h24. Basta crederci, dalla vostra la forza dei numeri. Siete la maggioranza, il 62% del totale delle lavoratrici. E ve la passate meglio di quel che immaginate. Più felici sul lavoro rispetto alle Millennial, secondo una recente ricerca di Kearney, società di consulenza strategica. Ancora con la voglia di crescere e di cercare nuove strade (il 23% delle intervistate). Forti come non mai.

«A venti anni si fa più fatica a imporsi, si è meno consapevoli e solide», è convinta l’economista Azzurra Rinaldi, docente della Sapienza e direttrice della School of Gender Economics. «Le over anta sono più centrate e capaci di dire no, rifiutano richieste che in passato avrebbero accettato per debolezza, anche un complimento non gradito.

Da questo punto di vista sono pericolosissime per chi lavora con loro, ma in senso positivo, perché capaci di farsi valere. Hanno tutti gli strumenti per capire in quali situazioni vogliono stare e in quali non vogliono stare più. Alla fine hanno molte potenzialità per emanciparsi da un modello di lavoro che non le valorizza o le schiavizza. Tante arrivate a quell’età si stufano e fanno impresa».

IL CONTROSENSO

Ai margini, perché gli anni passano e anche le competenze se non rinnovate invecchiano. Ricercatissime proprio perché gli anni sono passati, i figli sono grandi e anche mariti e compagni sono ex. Obbligate, tante volte, a reinventarsi perché il Covid s’è portato via certezze e posti di lavoro. O pronte a farlo, solo per la voglia di rimettersi in gioco. Come Selvaggia Capizzi che a 46 anni ha rivoluzionato con successo il suo percorso, da top manager del settore farmaceutico a imprenditrice digitale e influencer (over 40 appunto) e nel libro “C’è vita dopo i 40” insegna come si fa a ripartire. «Prima di essere messa a fare le fotocopie, nell’azienda in cui lavoravo, sono uscita e ho fatto del mio hobby una nuova carriera». I consigli? «Non permettere agli altri di dirti che non sei adeguata, anzi ora hai una tale consapevolezza da essere una garanzia di solidità. E partire facendo un’analisi di marketing su sé stesse. Cosa so fare? E quello che so fare può trovare uno spazio nel mercato? Se le due cose coincidono, ti puoi reinventare dove vuoi. Credici e costruisci».

LA POLEMICA

C’è vita e c’è anche tanta carriera, dopo gli anta, a dar retta all’imprenditrice della moda Elisabetta Franchi. Lei ha detto - per poi correggersi dopo aver scatenato il finimondo - di puntare sulle manager mature, i giri di boa li hanno fatti e sarebbero per questo da preferire alle giovani ancora sensibili ai sogni di una famiglia. La lavoratrice ideale? Single e magari orfana. Messa così è una discriminazione che si somma alle altre e le moltiplica. Anta contro Enta, ultraquarantenni versus trentenni. Età più genere uguale: 0,0 possibilità di farcela. Indigniamoci, solennemente, e poi però chiediamoci se è davvero così che va, le mamme lavoratrici sono scomode. Meglio le over 40. È così che va, rispondono senza dubbi le promotrici - giornaliste, scrittrici e attiviste - della campagna social con l’hashtag #senzagiridiboa lanciata proprio dopo le dichiarazioni dell’imprenditrice. «Contro chi sostiene pubblicamente e implicitamente - scrivono - che sia più importante l’età anagrafica delle competenze, contro un sistema che teme la maternità». Offese e affondate tutte, in un colpo solo. Le over anta, votate al sacrificio tanto chi se le fila più fuori dall’ufficio. E le enta, categoria considerata inaffidabile. «Il ‘giro di boa’ deve farlo la società italiana, non le donne», Antonella Giachetti è presidente dell’Aidda, l’associazione imprenditrici e donne dirigenti d’azienda. «È inutile parlare di produttività se non si migliorano le infrastrutture sociali, come ad esempio gli asili nido e la sanità di prossimità, che permettono di portare il valore della cura in tutti gli aspetti della vita quotidiana, e non solo nell’ambito delle mura familiari, consentendo alle donne di dare il loro imprescindibile contributo al Paese». Un serio problema con le mamme in Italia c’è: 8 donne su 10, secondo una ricerca di “Sfera Mediagroup”, dicono di aver subito conseguenze negative sul lavoro dopo un figlio, e 6 su 10 temono che l’arrivo di un bambino le metta in difficoltà e così rimandano.

CAPITALE DELLE UNDER

Roma fa eccezione e scommette sulle enta: è la città italiana con il più alto numero di giovani donne manager, le under 35 sono il 41%, contro il 30% di Milano, secondo un’analisi di Manageritalia. «È un altro dei segnali del risveglio di Roma», commenta Roberto Saliola, presidente di Manageritalia Roma e Lazio. «Sono dati di mercato e non derivano da quote rosa. Se siamo i primi è perché le imprese hanno scelto professionalità femminili in base a qualità e competenze. Vogliamo difendere questo patrimonio, puntare su una nuova modalità organizzativa per mettere le donne nelle condizioni di restare nelle posizioni conquistate». Come? «Bisogna puntare sempre più a un equilibrio tra spazio aziendale e professionale, compenetrare la vita lavorativa con quella personale, altrimenti si rischia di avere robot in azienda. L’impresa con personale motivato rende di più e i dipendenti non li motivi solo con i soldi». Insomma, c’è vita dopo i quaranta, ma anche prima. E se uscissimo un po’ dagli schemi sarebbe anche una vita migliore.

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