Dal vaso Veronese a un Pulcinella rivisitato: il design regione per regione

I vasi Venini della collezione Veronese
I vasi Venini della collezione Veronese
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Mercoledì 26 Gennaio 2022, 15:30 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 10:14

Ispirazioni storiche e nuove visioni del domani: dopo due anni di pandemia, i complementi di arredo delle nostre abitazioni, divenute sempre più rifugio e centro di ogni attività, raccontano di noi sospesi tra passato e futuro. E da Nord a Sud sono il simbolo di vere eccellenze che scavalcano i confini.

VENEZIA: IL VASO VERONESE, CENTO ANNI DI BELLEZZA

Venini, il vaso della collezione Veronese

La forma è bombata e sfida la gravità, il design minimal, di una eleganza estrema ed eterna. È il 1921, in un giorno d’autunno, quando il pittore Vittorio Zecchin, direttore artistico di Venini dal 1921 al 1925 nonché uno dei massimi protagonisti e innovatori dell’arte vetraria muranese, passeggiando fra le sale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia mette a fuoco un dettaglio che cambierà la storia dell’azienda stessa. È un vaso, appoggiato accanto alla Vergine ritratta nella tela dell’Annunciazione di Paolo Veronese, del 1580. Un vaso in vetro trasparente, attraversato da un fascio di luce e caratterizzato da una forma accogliente e bombata, che accoglie un tralcio di rovo con le sue more: questo elemento dal forte significato simbolico esprime vitalità e prosperità. E dalla tela al fuoco della fornace di Murano il passo è stato breve. Da allora, il vaso “Veronese” è diventato l’icona di Venini e del design italiano nel mondo, che per anni è stato anche il logo dell’azienda, un’opera simbolo inconfondibile dell’arte e del design che hanno consacrato la fama di Venini nel mondo. Soffiato per la prima volta nel 1921, anno di fondazione di Venini, ancora oggi il “Veronese” è realizzato interamente a mano e riprodotto in una variegata palette di colori. Per festeggiare i cento anni dell’azienda, la vetreria nel 2021 ha scelto di omaggiare ciò che la rende unica al mondo, lanciandone appunto una straordinaria edizione, limitata in cento pezzi, in due diverse dimensioni, in rosa cipria con dettagli rosso sangue di bue. Oggetto di culto da parte dei collezionisti, il “Veronese” resta il simbolo di una bellezza eterna che vince su tutto, anche oggi a distanza di un secolo.

Manuela Lamberti 

VITERBO: LE SPACESHIP HANNO UN CUORE PIENO DI LUCE

La Spaceship  di Picola Design

Ha realizzato anelli, piccole sfingi e complementi d’arredo nello stile dell’antico Egitto per il film “Noah” di Darren Aronofsky. E circa sessanta maschere in cartapesta per “Smitten!” di Barrie Morrow, nonché oggetti di scena per più lungometraggi di Ridley Scott. Senza dimenticare collaborazioni con la moda. Crea, però, anche lampade e altre oggetti per la casa. Federico Paris, artista che vive a Viterbo, per la sua produzione di oggetti usa la firma Picopa Design, nata dall’unione del suo nomignolo, “Pico”, e delle prime lettere del cognome. Grande è l’attenzione che dedica all’illuminazione. Tra le sue creazioni più richieste, “Spaceship candle lamp”, ceramica smaltata a forma di astronave è ispirata all’iconico videogame “Space Invaders” che ha nel suo cuore lo spazio per una candela. «Quel lavoro, in realtà, è nato da un insuccesso racconta Paris Ho fatto il progetto per una richiesta specifica, ma è stato scartato. Alla gente, però, è piaciuto. Pure all’estero. A Natale scorso, ho venduto trecento pezzi sul mercato tedesco». E ora la collezione sta per ampliarsi. «L’ispirazione rimarrà quella di “Space Invaders annuncia – Sto progettando altre astronavi, differenti per forma e anche colore. Ad oggi, infatti, sono tutte bianche». Ogni oggetto è nato da un’esigenza personale o per divertimento. «Mi sono accostato al design per creare cose delle quali avevo bisogno e che non riuscivo a trovare, almeno non come le volevo io. Poi sono arrivate le richieste. È successo, ad esempio, anni fa, per “Sgabrutto”, sgabello che avevo disegnato per il mio studio, semplicemente perché mi serviva. È piaciuto, alcuni amici mi hanno detto che ne desideravano uno e così ho cominciato a farlo anche per altri» . Ora sta progettando uno speciale appendiabiti. «Si chiamerà “Io ero Bambi”: sarà un teschio stilizzato e modernizzato, con corna di cervo molto arrotondate. Ho già realizzato il prototipo». Non rimane che attendere.

Valeria Arnaldi

RECANATI: ECO E CREATIVA LA “FISARMONICA” HA MILLE IDEE

Eco Packly di Roberto Giacomucci prodotta da Guzzini

Una fisarmonica. Tante Marche in Eco Packly, a cominciare dal designer, l’anconetano Roberto Giacomucci, fino alla azienda di produzione, la Fratelli Guzzini di Recanati. Così come dal territorio viene l’ispirazione per questo contenitore pensato per la raccolta differenziata domestica dei rifiuti ma per il cui uso ci si può sbizzarrire: il mantice della fisarmonica la cui casa è a Castelfidardo, esattamente a metà strada tra il luogo di ideazione e quello di realizzazione. Dice Giacomucci: «I mantici funzionano con un meccanismo di compressione e distensione: per applicarlo alla materia plastica occorre usare delle cerniere integrali, cioè assottigliare il materiale nei punti di piega, tramite speciali accorgimenti, in fase di stampaggio. La cerniera deve dar modo d’essere piegata agevolmente e, allo stesso tempo, deve evitare un ritorno elastico, riaprendosi». Da qui la complessità di ingegnerizzazione che ha condotto tecnici e progettisti a un design monopezzo, stampato a iniezione. La plastica utilizzata è polietilene riciclato post consumo, l’impatto ambientale viene ridotto anche grazie alla compattazione del volume che consente inoltre all’utilizzatore di acquistare un prodotto allo stesso tempo poco ingombrante ma pronto all’uso. Il lancio commerciale del contenitore è previsto per il prossimo dicembre. Nel corso del 2022 Eco Packly sarà declinato in più versioni per usi diversi: un portabiancheria, un portagiocattoli. Conclude Giacomucci: «Un oggetto utile, spartano ma democratico, di ampia diffusione. I colori saranno gli stessi usati da Fratelli Guzzini nelle collezioni recenti.

Giallo ocra, celeste, verde, nelle tonalità un po’ desaturate che al momento si possono ottenere con le materie plastiche riciclate, dall’effetto materico. Anche su questo versante, come sul piano delle prestazioni, credo che in futuro questi materiali saranno molto simili ai polimeri cui siamo abituati».

Edoardo Danieli

LECCE: UOVA O PIETRE, ILLUSIONI DI CARTAPESTA

Le lampade di Francesca Carallo

Oggetti-sculture dall’aspetto minimalista e dalla matericità non immediatamente riconoscibile. Dimenticate statue e pupi dell’antica tradizione salentina e immergetevi nel design più raffinato e contemporaneo. Sono i lavori di Francesca Carallo, abile artigiana salentina che reinterpreta in chiave moderna l’arte della cartapesta. Il suo lavoro esplora da anni le potenzialità duttili di questo materiale di cui sono fatte le statue nelle chiese barocche con risultati di sorprendente raffinatezza che dal ‘95 a oggi l’hanno imposta all’attenzione internazionale. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre, mentre le sue collezioni di interior design hanno creato spazi e showroom in Europa, Stati Uniti, Giappone, Paesi Arabi. Ma il suo lavoro prosegue e si rinnova ogni giorno nel “giardino di cartapesta”, una bottega nel centro storico di Lecce, dove nascono le sue opere. Dai trafori delle lampade, che mimano la pietra scolpita dal vento alle delicate pieghe delle sculture luminose Floor che sembrano rubate al fondo del mare, fino alle ciotole a forma di grosse uova, dai tratti ancestrali e avvolgenti. Ma le creazioni di Francesca sono numerose e sempre originali. Tra queste restano gli arazzi che la fecero conoscere negli anni duemila per la tecnica assolutamente innovativa di arricciare la cartapesta rendendola simile a cuoio.

Alessandra Lupo 

NAPOLI: GIÙ LA MASCHERA, PULCINELLA È CONTEMPORANEO

Pulcinella rivisto da Lello Esposito

La sfida è stata quella di utilizzare, in modo sempre diverso, una maschera di cui si era già detto e fatto tutto». Così l’artista napoletano Lello Esposito definisce il suo Pulcinella, compagno di viaggio e “contenitore” universale di un percorso artistico fatto di identità e metamorfosi, di sperimentazioni senza cadere negli stereotipi. Un simbolo che si lega di volta in volta al corno, all’uovo, al Vesuvio, a San Gennaro e dà vita a creazioni uniche, a sculture e pitture apprezzate in Italia e all’estero. Che siano opere d’arte di dimensioni contenute, forgiate in bronzo o realizzate in terracotta policroma, imponenti installazioni o tele non importa: la maschera di Lello Esposito è il simbolo di un’artista che non ha mai dimenticato le sue origini. Pulcinella esisteva nell’immaginario collettivo dei napoletani, ma a renderlo “manufatto”, oggetto d’arte e di contemporaneità, è stato proprio Esposito. Dopo aver ispirato tanti artigiani, generoso soprattutto con la sua Napoli, ha donato un suo Pulcinella in bronzo alla città: è in vico Fico al Purgatorio ed è una delle sculture più fotografate. Nel 2016 il filosofo Aldo Masullo, in occasione della presentazione di un libro dedicato a Pulcinella realizzato dall’artista, disse: «Grazie a Lello Esposito finalmente Pulcinella comincia a morire... Muore quell’immagine oleografica di fastidioso immobilismo verso una tradizione banalizzata e troppo stereotipata». E infatti il Pulcinella di Lello Esposito (il suo atelier è nelle Scuderie di Palazzo Sansevero) è contemporaneo, è come un viaggiatore che entra nelle case di collezionisti e amanti dell’arte senza dimenticare la sua terra, quasi a voler dire “Eccomi qui”, proprio come la scultura installata a via Salvator Rosa - in una delle stazioni dell’arte della metropolitana di Napoli - sul bellissimo vaso di design realizzato dall’architetto Alessandro Mendini.

Emanuela Sorrentino 

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