Allarme denatalità, il demografo Alessandro Rosina: «L'incertezza frena le coppie»

Allarme denatalità, il demografo Alessandro Rosina: «L'incertezza frena le coppie»
di Maria Lombardi
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Mercoledì 26 Gennaio 2022, 15:53 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 10:10

La media dei figli delle donne italiane è scesa a 1,24 nel 2020. Professor Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e statistica sociale all’università Cattolica del Sacro Cuore, perché siamo arrivati a questo punto?

«Nel confronto con i Paesi con fecondità più elevata in Europa non ci distingue un numero desiderato di figli più basso, ma la presenza di alcuni nodi che frenano la possibilità di realizzare pienamente tale numero.  I nodi principali sono tre. Il primo incide soprattutto sull’arrivo del primo figlio che si lega alle difficoltà dei giovani nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine, con accesso ad una propria abitazione e l’ingresso stabile nel mondo lavoro. Il secondo nodo critico frena, invece, la progressione oltre il primo figlio: se con la nascita del primogenito ci si trova in difficoltà ad armonizzare impegno esterno lavorativo e interno alla famiglia, difficilmente si rilancia con la nascita di un secondo e successivi. Il terzo nodo è l’alta esposizione all’impoverimento economico, soprattutto per chi va oltre il secondo figlio. Rispetto a tutti questi punti l’Italia presenta indicatori tra i peggiori in Europa e senza solidi segnali di convergenza nell’ultimo decennio. Ci troviamo, infatti, con una delle più alte percentuali di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), tra i più bassi tassi di occupazione delle donne con figli, tra i più alti rischi di povertà infantile. Tutti e tre questi nodi sono peggiorati dopo l’impatto della pandemia, facendo aumentare anche il senso di incertezza verso il futuro che ulteriormente frena progetti di vita impegnativi e responsabilizzanti come avere un figlio.L’Italia si trova con una delle più alte percentuali di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), tra i più bassi tassi di occupazione delle donne con figli, tra i più alti rischi di povertà infantile. Questi tre nodi sono peggiorati dopo l’impatto della pandemia, facendo aumentare anche il senso di incertezza verso il futuro che ulteriormente frena progetti di vita impegnativi e responsabilizzanti come avere un figlio».

Quali prospettive si aprono se non riesce a invertire la tendenza?

«Secondo le stime dell’Ocse pubblicate prima della pandemia, l’Italia è tra i Paesi sviluppati che più rischiano di trovarsi a metà di questo secolo con un rapporto uno a uno tra lavoratori e pensionati, uno scenario difficilmente sostenibile dal punto di vista sociale ed economico.

Va poi considerato che la denatalità tende ad autoalimentarsi in un processo di avvitamento verso il basso: poche nascite passate riducono la popolazione nell’età in cui si forma una propria famiglia, con conseguenti ancor meno nascite future».

Quali misure secondo lei sono necessarie per uscire dall’inverno demografico?

«Ci sono due novità positive rispetto al passato che possono fare la differenza. La prima è il Pnrr che prevede investimenti che possono migliorare sia la condizione dei giovani, sul fronte lavorativo e abitativo, sia la conciliazione tra lavoro e famiglia, come il potenziamento degli asili nido. La seconda è il Family Act: un insieme di misure integrate a sostegno della scelta di avere figli che si ispira alle migliori esperienze europee. L’effetto dell’azione combinata di queste novità non è però scontato e dipenderà molto da come le varie misure verranno implementate, a partire dall’assegno unico e universale. C’è anche una questione di urgenza: più rapidamente si inverte la tendenza e maggiore potrà essere l’effetto sul totale delle nascite».

Aumenta il numero delle childfree, donne che scelgono di non avere figli.

«Avere figli è una scelta libera. Non si tratta di convincere chi non desidera avere figli ad averli, ma mettere chi li desidera nella condizioni di poter realizzare nel modo migliore tale scelta. Il numero di donne del tutto non interessate a diventare madri è cresciuto nel tempo, ma è in linea con i livelli di Paesi che hanno una fecondità più elevata dell’Italia. I dati del Rapporto giovani 2020 dell’Istituto Toniolo evidenziano come, tra le donne senza figli di età 30-34 anni, circa metà desidera averli, il 20% è convintamente childfree, e un 30% non esclude la possibilità di averli ma pensa che si sentirebbe realizzata anche senza. È soprattutto su queste donne, ma anche uomini, con motivazione incerta, che politiche mirate a creare un contesto favorevole alla scelta di avere un figlio possono fare la differenza».

Lei ha parlato, in un suo saggio, delle donne scarsamente motivate alla maternità, spiegando che sarà questa fascia a determinare gli scenari futuri.

«Il desiderio di avere un figlio rischia di indebolirsi se non aiutato a diventare progettuale, a realizzarsi con successo nella vita di coppia e a integrarsi positivamente con altre scelte, in particolare con la vita professionale. La natalità è diventata l’indicatore più sensibile, nei Paesi più avanzati, alle condizioni oggettive del presente e alle prospettive future. Nei contesti caratterizzati da fiducia e aspettative positive, chi desidera avere un figlio più facilmente può realizzare tale scelta, aumenta la presenza di giovani e si rafforza il loro contributo allo sviluppo sostenibile. Dove invece le famiglie si sentono sole, si riduce la scelta di avere un figlio e, di conseguenza, si accentuano squilibri demografici che pesano sul futuro collettivo».

Secondo gli ultimi dati sull’occupazione femminile, con la pandemia si è scesi alle percentuali del 2013. C’è il rischio che questo dato faccia scendere ancora di più il numero di mamme?

«Sì, perché per molte coppie la preoccupazione per il lavoro, sia in termini di bilancio familiare che di realizzazione personale, porta a tenere in sospeso la scelta di avere un figlio. Più si avanza con l’età più l’incertezza occupazione porta a rinviare la scelta di diventare madre e a rivedere progressivamente al ribasso il totale di figli desiderati. Rafforzare l’occupazione femminile assieme a strumenti che armonizzino le scelte di vita e di lavoro, favorendo una maggior condivisione maschile delle attività domestiche e di cura, è la strada per una solida inversione di tendenza delle nascite». 

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