Addio a Vittorio Merloni, l'imprenditore
che ha portato le Marche nel mondo

Addio a Vittorio Merloni, l'imprenditore che ha portato le Marche nel mondo
di Lorenzo Sconocchini
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Domenica 19 Giugno 2016, 05:38 - Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 20:15

FABRIANO - Il tramonto del patriarca si consuma pochi giorni prima che la fabbrica simbolo di quello che fu il suo impero economico chiuda i reparti, come se il destino avesse voluto evitargli l'ultimo affronto. E proprio nello stabilimento ex Indesit di Albacina, che il 30 giugno smetterà di produrre piani di cottura e cucine spediti per oltre sessant'anni da Fabriano verso i mercati di tutto il mondo, oggi alle nove sarà aperta la camera ardente con il feretro di Vittorio Merloni, stroncato ieri mattina da un infarto.



E chissà se i suoi ex operai si presenteranno a rendergli onore indossando quelle magliette con il suo volto stampato, sbandierate come un inno al capitalismo buono il 28 giugno di tre anni fa, quando l'azienda annunciava 1.425 esuberi per resistere alla crisi e loro immaginavano che sarebbe andata diversamente se Vittorio fosse stato ancora sulla plancia di comando, anziché costretto a casa da una malattia inesorabile che nel 2010 l'aveva obbligato a passare la mano ai figli. «Ci manchi», c'era impresso su quelle t-shirt, dove il patron Vittorio veniva chiamato «uno di noi», con un rimando nostalgico all'idea paternalista dell'azienda che dà lavoro, ma è anche riparo e famiglia. 

 

Fabriano sul tetto del mondo
Il cavalier Vittorio Merloni era uno di Fabriano, ma mancherà a tutta l'Italia e ai molti che all'estero ne hanno conosciuto le doti di imprenditore illuminato, dalla Regina Elisabetta d'Inghilterra a Vladimir Putin, ai professori dell'Università di Harvard che l'avevano voluto nel board. La sua parabola d'imprenditore, dopo la Laurea in Economia e Commercio, era iniziata nell'azienda del padre Aristide, il capostipite della dinastia fabrianese degli elettrodomestici, accanto ai fratelli Francesco e Antonio. Ma nel 1975, quando le strade dei Merloni di seconda generazione si separano, Vittorio è capace di spiccare il volo fondando la Merloni Elettrodomestici, con cui ha esportato nel mondo quella via «Adriatica allo sviluppo» teorizzata da Giorgio Fuà e dalla sua scuola anconetana di Economia, facendo della piccola Fabriano, 30 mila abitanti in una conca dell'Appennino, economia mezzadrile e tradizione cartaria, la capitale di uno dei più importanti distretti mondiali degli elettrodomestici bianchi. Da impresa regionale che era a metà anni Ottanta, la Merloni Elettrodomestici guidata da Vittorio cresce con una serie di azzeccate acquisizioni (Indesit, Philco, Stinol, Hotpoint) fino a sbarcare in borsa e diventare leader mondiale, trainando il Fabrianese e tutte le Marche in una dimensione industriale internazionale di primo piano capace di esportare in tutti i continenti lavatrici e piani cottura, frigoriferi e congelatori, lavastoviglie e altri elettrodomestici.

La dimensione globale
Proprio per consolidare la dimensione globale del gruppo, nel 2005 l'azienda cambia denominazione e issa nei suoi stabilimenti le insegne della Indesit Company. Quando tre anni dopo Vittorio si ammala, ed è costretto a defilarsi fino all’uscita di scena del 2010, il suo gruppo conta otto stabilimenti nel mondo e occupa 4.300 lavoratori italiani, più altri 12 mila dipendenti all’estero. Il passaggio generazionale coincide con una crisi globale senza precedenti e per la multinazionale fabrianese inizia una fase di declino finché nel 2013 i figli di Vittorio (Maria Paola, Andrea, Aristide e Antonella) cedono la presidenza, che va all'amministratore delegato Marco Milani, che traghetterà Indesit fino all'acquisizione da parte della multinazionale Whirlpool, conclusa nel 2014 e perfezionata l’anno scorso.

Lezione di marketing con i rasoi
Per capire di che pasta d’imprenditore fosse fatto, bisogna provare a immaginarsi la scena che si trovarono di fronte i quadri della Merloni Elettrodomestici, una mattina di 15 anni fa, quando il presidente si presentò in azienda con una dozzina di rasoi elettrici della Braun. Vittorio li aveva portati da casa, ne aveva collezionati molti nel tempo, e li usò per tenere una lezione di marketing in cui spiegò quelli che erano i segreti del successo mondiale di quel piccolo elettrodomestico. Già alla fine degli Anni ’70, quando i computer erano grandi quanto una valigia da emigrante, con la sua Merloni Elettrodomestici aveva investito sulla domotica, l’elettronica applicata alla casa, con il sistema Arisio. «Amava l’innovazione, l’azienda era il suo vero hobby - ricorda l’ex sindaco di Fabriano Roberto Sorci, stretto collaboratore di Vittorio Merloni in azienda -. Come veniva a sapere di una qualsiasi novità, subito pensava a come applicarla a un modello di lavatrice o frigorifero. Era un imprenditore che trasformava i sogni in realtà». Al punto che per tenere a freno i suoi slanci innovativi, poteva capitare che i progettisti chiudessero nel cassetto qualche piano di sviluppo. Soprattutto negli Anni ’90, quando la frontiera dell’elettronica lo affascinava, Vittorio Merloni andava di nascosto il sabato nei laboratori di via Campo sportivo, dove lavorava il giovane team della progettazione informatica. Sapeva trovare solo loro e gli frugava nei cassetti e alla riunione del lunedì sorprendeva tutti chiedendo a che punto fosse quel progetto, che i suoi direttori pensavano di aver tenuto al riparo della sua smania di innovazione. «Aveva anche un senso estetico sviluppatissimo - ricorda ancora l’ingegner Sorci -, era un imprenditore del bello. Vedeva una maniglia di un’auto di Giugiaro o Pininfarina e pensava di farne una ancora più bella per i suoi frigoriferi». La “penisola”, che ha fatto la fortuna dei cucinieri in tutto il mondo, venne ideata nei laboratori di Fabriano già alla fine degli Anni ’70, quando un team di progettisti lavorava a un’idea innovativa di cucina.

Il sogno Lavintosh con Apple
Non a caso la Merloni Elettrodomestici arrivò vicino a un accordo con la Apple di Steve Jobs per la produzione di una lavatrice del futuro. Capitò nel ’92, quando sulla rivista di informatica Multimedia Pc, comparve un articolo che illustrava le capacità rivoluzionarie della “Lavintosh”, in grado di lavare indumenti senza dividerli per colore e tessuto e riducendo sapone, acqua ed energia elettrica grazie alla gestione di microcomputer. Si trattava di un’invenzione della rivista, proposta per stimolare una partnership tra l’industria degli elettrodomestici e quella dei Pc. Leggendo l’articolo, Vittorio Merloni decise di contattare la Apple. «Non so come la fantasia dei giornalisti sia arrivata alla Lavintosh - scrisse a Sergio Nanni, all’epoca Ad di Apple Italia -, ma la nostra società sta realmente lavorando su un progetto simile e l’idea di poterlo realizzare insieme alla Apple, non è affatto da scartare». L’idea solleticò l’interesse anche dei top manager di Cupertino, perché qualche mese dopo un team di ingegneri della Merloni volò in California, anche se poi la Lavintosh rimase soltanto un’idea
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Addio alla scala mobile
Il suo spirito di innovatore fu anche al servizio di Confindustria, che Vittorio Merloni riuscì a scalare grazie ai suoi successi imprenditoriali. La sua presidenza, dal 1980 al 1984, sarà contrassegnata dalla disdetta della Scala mobile, un traguardo che per Merloni era necessario per modernizzare il sistema economico nazionale. Il 25 giugno 1982 Cgil, Cisl e Uil reagirono con uno sciopero generale, fermando il mondo del lavoro, e l’Italia sul meccanismo della contingenza si divise in due, fino al referendum voluto nell’85 da Bettino Craxi. Ma oggi anche i sindacati rendono omaggio alla figura di Vittorio Merloni un imprenditore dal volto umano come oggi forse non ce ne sono più». In viale dell’Astronomia, Merloni (unico marchigiano ad aver guidato Confindustria) rimase per anni nel direttivo e nella giunta, lanciando la candidatura di Emma Marcegaglia, primo presidente donna degli industriali italiani.

Lo spirito bipartisan
Forse proprio grazie a quella presidenza illuminata di Confindustria, Vittorio Merloni ha saputo mantenere sempre rapporti distesi con la politica. «Amava le intelligenze, più che le ideologie», ricordano i suoi collaboratori fidati. Vicino certo alla Democrazia Cristiana, specie quando suo fratello Francesco venne eletto parlamentare per sei legislature e poi divenne ministro, ma amico pure di un compagno come Fausto Bertinotti, oltre che di Romano Prodi, il Professore così vicino al cavalier Vittorio Merloni da correre in macchina ieri pomeriggio da Bologna a Fabriano pur di rendere omaggio alla salma dell’amico nella sua dimora di Bellaluce, nel verde di Collegiglioni. L’ex patron di Ariston e Indesit aveva assistito con simpatia, come gran parte del ceto industriale italiano, alla discesa in campo di Silvio Berlusconi nel ’94, imprenditore con cui i Merloni erano da tempo in rapporti d’affari. Quando l’allora Cavaliere costruiva le città satellite di Milano 2 e Milano 3, i bagni prefabbricati e le cucine arrivavano da Fabriano, firmati Ariston (all’epoca dei fratelli Francesco e Vittorio). E quando a installarli saliva dalle Marche anche Primo Galdelli, l’operaio dei Merloni che nel ’92 divenne poi senatore con Rifondazione Comunista, in tasca aveva l’Unità. In epoca più recente Vittorio Merloni, uno spirito che oggi si può dire di centrosinistra, aveva appoggiato l’Ulivo di Prodi e l’impegno politico diretto di sua figlia Maria Paola, parlamentare prima con la Margherita e ora con Scelta Civica di Monti. Ma per vederlo tra il pubblico di un comizio in piazza, bisognerà attendere il 2002, quando andò ad assistere alla prima uscita pubblica del suo delfino Roberto Sorci, candidato a sindaco di Fabriano per la Margherita.

Le Ferrari e la Juventus
La villa sulle alture di Fabriano, a portata di fabbrica, era la dimora abituale di Vittorio, spesso però all’estero tra Londra e New York.

Per le vacanze, c’erano il buen retiro di Porto Cervo in Costa Smeralda, da raggiungere anche sulla barca ormeggiata in uno Yacht Club in Toscana, e poi lo chalet a Cortina per l’inverno, sostituito in età matura da qualche puntata ad Antigua, nelle Antille francesi. Nessuna passione dichiarata per il calcio, tifoso semmai della Nazionale, Vittorio Merloni fu capace di sponsorizzare sia la Juventus del suo grande amico Gianni Agnelli, con il marchio Ariston, sia i granata del Toro con la Indesit. Per spostarsi nel suo impero economico, utilizzava una flotta formata da un aereo e due elicotteri, e amava le auto di prestigio, arrivando a collezionare sei Ferrari, compresa una F40. Il primo bolide, un “ferrarino”, glielo regalarono per i suoi cinquant’anni, quand’era presidente nazionale di Confindustria, e al volante di quella Rossa faceva impazzire la scorta che cercava di seguirlo per le strade di Roma. Per il traguardo dei 70, gli fecero trovare sotto un drappo rosso la Ferrari guidata da Schumacher per il primo titolo mondiale. Ma gli tolsero il motore, a scanso di qualsiasi tentazione.

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