Il professor Villanacci, nuovo presidente del Consiglio superiore Beni culturali:
«Io, custode del bello. Ricchezza da tutelare senza esserne gelosi»

Il professor Villanacci, nuovo presidente del Consiglio superiore Beni culturali: «Io, custode del bello. Ricchezza da tutelare senza esserne gelosi»
Il professor Villanacci, nuovo presidente del Consiglio superiore Beni culturali: «Io, custode del bello. Ricchezza da tutelare senza esserne gelosi»
di Lucilla Niccolini
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Martedì 14 Febbraio 2023, 03:40 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 11:17
Professor Villanacci, si aspettava la nomina a presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici?
«Assolutamente no. Sono molto lusingato, soprattutto perché non ho appartenenze politiche. Posso immaginare che la nomina sia stata determinata dall’esperienza e dalla mia storia. Da anni mi occupo del tema, con scritti e interventi a convegni. E con il coinvolgimento a progetti, come quello, recente, La via della Bellezza, lanciato a Loreto dall’arcivescovo Fabio Dal Cin per valorizzare il magnifico Museo Diocesano, sulla scorta di quello che si sta facendo per Assisi. La bellezza, non disgiunta dalla sacralità del luogo, ha una considerevole cifra culturale».
Qual è il ruolo che riveste il Consiglio che è chiamato a presiedere?
«Ritengo che in un Paese come il nostro, che detiene un patrimonio inestimabile, in termini di beni culturali e di paesaggio, incomparabile con quello di qualunque altra nazione al mondo, possa assumere, fatte le debite distinzioni, un’importanza non minore, ad esempio, del Consiglio Superiore di Sanità. Mi domando se tale patrimonio riscuota un interesse corrispondente da parte della politica, ma anche della popolazione. E implementare questa risorsa può fare la differenza». 
In qualità di docente di Diritto Privato, come pensa di mettere a frutto la sua competenza nel nuovo ruolo? 
«Chi mi ha preceduto, il professor Marco D’Alberti, è giudice della Corte Costituzionale, a dimostrazione che i temi di cui si deve occupare il Consiglio sono fortemente connotati dal diritto. Non ho ancora parlato con il ministro Sangiuliano, e quando lo incontrerò ho intenzione di sollevare un tema urgente, quello della revisione del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, che risale al 2004. Credo che potremo dare un contributo rilevante ad aggiornare il codice, anche in relazione alla veloce trasformazione delle normative sugli appalto e i beni pubblici». 
Un tema affascinante. Ha già qualche idea? 
«Sono assolutamente convinto che il tema dei beni culturali sia stato finora sottovalutato. E sotto-finanziato, con risorse inadeguate. Il paesaggio è attinente all’ambiente: oggi se ne parla di più, ma bisogna parlarne meglio. È un settore da sviluppare con lucidità e lungimiranza». 
Anche nelle Marche? 
«Soprattutto. È una regione poco conosciuta dal punto di vista turistico, non apprezzata come dovrebbe. Lo dico da marchigiano d’adozione, legatissimo a questa terra, che ho imparato ad apprezzare. Detiene un patrimonio non sempre adeguatamente valorizzato, come i tanti teatri, un unicum. Va superato l’isolamento, causato anche da scarsi collegamenti infrastrutturali. Belle in ogni angolo, le Marche hanno preservato l’ambiente, con naturalezza, per tradizione. Una tutela secolare che, però, non deve escludere la fruibilità». 
Ci spieghi. 
«A volte la tutela, malintesa, sconfina in una sorta di gelosia. Ma non va bene: della bellezza, di beni culturali e di paesaggio, dobbiamo godere tutti. Un nuovo codice dell’ambiente, con interventi legislativi, dovrebbe andare in questa direzione».
 
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