Iscritti in calo ed effetto Matteo. La proposta del ricercatore Luca Gili all'allarme lanciato dal professor Iacobucci: «Le università marchigiane dovrebbero federarsi»

Il calo degli studenti iscritti nelle università marchigiane

«Le università marchigiane dovrebbero federarsi». A sinistra Donato Iacobucci, a destra Luca Gili
«Le università marchigiane dovrebbero federarsi». A sinistra Donato Iacobucci, a destra Luca Gili
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Mercoledì 19 Aprile 2023, 14:48 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 16:39

Le università marchigiane dovrebbero fondersi. Luca Gili, residente a Urbino, ricercatore di filosofia antica all'Università di Chieti-Pescara con un passato da docente in Canada, risponde al professor Donato Iacobucci. Sul Corriere Adriatico del 19 aprile il professor Donato Iacobucci dell’Università Politecnica delle Marche suonava il campanello d’allarme a proposito il calo degli studenti iscritti nelle università marchigiane: i giovani marchigiani che intendevano frequentare un corso universitario solo dieci anni fa si iscrivevano al 75% in un ateneo marchigiano, ma oggi la quota è scesa al 66%. Dopo aver correttamente sottolineato che le nostre quattro università (Urbino, Politecnico di Ancona, Macerata e Camerino) nulla hanno da invidiare sotto il profilo della qualità della didattica e della ricerca alle grandi università italiane (Milano, Bologna, Roma Sapienza) Iacobucci - rimarca Gili -  osservava che le città devono offrire una rete di servizi che renda interessante l’iscrizione in un ateneo marchigiano, tenendo soprattutto in considerazione le opportunità di carriera dei futuri laureati. La ragione per la quale le grandi università del nord Italia non temono crisi risiede appunto nel fatto che si trovano ad operare in un contesto che offre più possibilità di lavoro. Occorrono però alcune osservazioni aggiuntive.

La popolazione italiana nella fascia tra i 19 e i 25 anni - continua Gili - dalla quale proviene la maggior parte degli studenti universitari, nell’arco di dieci anni sarà molto più ridotta rispetto ad oggi secondo gli scenari Istat. Un calo delle iscrizioni nel sistema universitario italiano pare inevitabile, anche se si adottassero efficaci politiche che estendano la percentuale di giovani laureati nel nostro paese. In questo contesto, è legittimo attendersi che le diminuzioni di iscrizioni saranno più accentuate in atenei di piccola o media grandezza come quelli marchigiani. Ciò comporterà inevitabilmente un assottigliamento del fondo di finanziamento ordinario allocato alle università marchigiane, con inevitabili ricadute negative sulla qualità della ricerca scientifica e della didattica.

Molti atenei  - rileva Gili - hanno efficacemente puntato sulla attrazione di progetti europei per finanziare la ricerca scientifica (in Italia Ca’ Foscari è un esempio virtuoso in tal senso).

Ma per concorrere efficacemente per i progetti europei occorre una infrastruttura amministrativa che coadiuvi i ricercatori nella redazione dei progetti – e una tale struttura è ovviamente più efficace nei grandi atenei che possono destinare ad essa molto personale qualificato. Viene dunque a verificarsi quell’ “effetto Matteo” di cui parlano gli anglosassoni riferendosi a un versetto del vangelo di Matteo: “a chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza. Ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" (Mt 25: 29). La politica potrebbe però anticipare questo esito a mio parere inevitabile, senza attendere che il Ministero intervenga dall’alto per chiudere corsi di laurea ed accorpare dipartimenti nella nostra regione.

Va notato però che la legge Gelmini (240/2010) - insiste e chiude Gili - prevede già la possibilità di federare atenei. Un’opera di sinergia potrebbe creare un polo amministrativo d’eccellenza per attrarre finanziamenti europei e una struttura federata potrebbe giovare alla razionalizzazione dell’offerta formativa, in un dialogo costante con il territorio. Nella nostra regione, ad esempio, le città più grandi sono Pesaro e Ancona, ma a Pesaro non c’è alcun corso universitario (in realtà risultano attivi alcuni corsi tra i quali infermieristica e ingegneria, ndr), nonostante la comodità logistica della città e l’ampia rete di industrie che rende il territorio particolarmente attrattivo per i futuri studenti. Parlare dell’apertura di nuovi corsi di laurea in un contesto di contrazione dell’offerta appare irrealistico, ma nella prospettiva di una razionalizzazione, in cui i nostri antichi atenei mettano insieme il loro vasto capitale umano con l’obiettivo comune di far crescere la nostra regione, sembra legittimo anche pensare a un ampliamento delle sedi didattiche – con ovvie ricadute positive sulle nostre città. La politica a livello cittadino dovrebbe farsi promotrice di questa istanza dal basso, senza attendere la mannaia di Roma che, se la tendenza delle iscrizioni non si invertirà, arriverà inesorabile.

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