ANCONA - La Russia invade l’Ucraina e all’improvviso la storia dell’Unione Sovietica e dell’Europa di Budapest e Praga sembra tornare come un vecchio fantasma. Giorgio Tornati incarna le vicende del Partito Comunista Italiano, del suo controverso rapporto con l’Unione Sovietica dal 1921 al crollo del muro di Berlino nel 1989, tre anni prima dello scioglimento del più grande partito comunista dell’Occidente.
L’anomalia

La guerra dichiarata all’Ucraina 5 giorni fa dall’oligarca Putin riaccende la memoria di eventi tragici come quelli del 1956 quando l’Unione sovietica invase l’Ungheria. Giorgio Tornati, ai vertici del partito pesarese e poi parlamentare, ma soprattutto sindaco di Pesaro si definisce «un comunista anomalo». Lui fece parte di quel manipolo di pesaresi (con Giuseppe Angelini, Emidio Bruni, Giorgio De Sabbata e Domenico Settembrini) che in quel 1956 raggiunse Roma per chiedere le dimissioni del segretario Palmiro Togliatti, troppo indulgente con l’azione militare contro l’Ungheria. «Eppure - riflette Tornati che in Russia non è mai andato - all’epoca c’era Yalta e un mondo diviso in due parti che in qualche modo legittimava le violente ingerenze su Budapest e poi Praga. Oggi, l’azione di Putin, ricorda invece l’imperialismo ottocentesco, quando una potenza riteneva che un territorio le appartenesse e se lo andava a prendere. Ritengo questa guerra agghiacciante e dallo sviluppo imprevedibile».
Il senatore operaio

Altra storia comunista è quella di Primo Galdelli che i marchigiani ricordano per essere stato eletto prima in Senato e poi alla Camera, operaio della Merloni iscritto a Rifondazione e poi dirigente del PdCI, all’indomani della scissione. Lui in Unione Sovietica c’è stato nel 1989 e nel 1996, quando la grande potenza era ormai sgretolata. La sua lettura dei fatti parte da «quel vittimismo che attraversa tutti i popoli slavi per il quale si sentono perennemente accerchiati, nel caso specifico amplificata dalla percezione messianica che hanno di Putin. Un sentimento che ritroviamo anche tra i serbi e che l’Europa fatica a comprendere. Ma tra oggi e allora c’è una profonda differenza: l’Urss aveva una vocazione internazionalistica, Putin è uno strenuo nazionalista. Putin non ragiona da comunista per quanto gli vada riconosciuto il diritto di non apprezzare l’espansionismo della Nato verso l’Est europeo. Però nessuno basta a se stesso e pesa in questa epoca la generale inadeguatezza di tutte le classi politiche del mondo. Se vogliamo parlare di identità europea dobbiamo partire da pace, clima e uguaglianza. Il resto è il nulla».
La pasionaria

Anche Marinella Topi, nata politicamente nel Pci, transitata per il Pd approdando ad Art.1 ha nella suo pensiero una forte matrice di sinistra. Anche lei come Giorgio Tornati non è mai stata in Russia e per quanto non perda di vista il ruolo della Nato e dell’Occidente nel conflitto in corso, stigmatizza l’azione di Putin, l’assurdità dell’invasione di un Paese democratico e soprattutto il rischio che metta «in pericolo la pace nel mondo con una atto di imperio e di violenza che potrebbe in qualche modo autorizzare altre forze ad intervenire.
Lontano passato

Pietro Marcolini definisce la sua esperienza nel Pci «assolutamente inadeguata a fare un’analisi della situazione. Da ex presidente dell’Istao preferisce parlare degli effetti che la guerra avrà sulla nostra economia: «Inevitabili e pesanti. Per questo giuste le sanzioni contro la Russia ma è necessario prepararsi a resistere all’onda d’urto che ci colpirà. L’onda si è già abbattuta sul settore calzaturiero, coinvolgerà pesantemente il tutismo e direttamente e indirettamente acuirà l’emergenza sul versante energetico. Però tra i fondi del Pnrr e quelli per il sisma possiamo aprire il percorso verso l’indipendenza energetica che diventerà la moneta corrente per la sostenibilità ambientale ed economica».

Luca Ceriscioli, già sindaco di Pesaro e presidente della Regione Marche, con il Partito comunista, nonostante sia nato a Villa Fastiggi, il quartiere pesarese rosso per eccellenza, per questione anagrafiche ha avuto poca dimestichezza. Forse anche per questo che sulla guerra in corso ci offre lo sguardo dell’insegnante a confronto con la guerra. «Gli occhi di un mio studente giovedì mattina quando, già preoccupato per il nonno ricoverato in ospedale, si è svegliato scoprendo che in Ucraina c’era la guerra. Lo sguardo che ci ricorda come dietro le grandi strategie e gli scontri ci sono famiglie, persone, bambini e ragazzi. Bene la mobilitazione ma mi preoccupa moltissimo la sensazione di inadeguatezza della classe politica che spero riesca a trovare, nel diritto e nella pace, il modo di risolvere questa crisi. Il mio studente ucraino, tra l’altro molto bravo in matematica, mi ha fatto pensare che questa potrebbe essere davvero l’occasione di riscoprire il ruolo universale della pace. Guardo con che spirito l’Europa si attrezza ad accogliere i profughi, vedo una condivisione, una identificazione che con i profughi provenienti da altre zone del mondo, non c’è mai stata. Mi auguro che da questo conflitto il mondo possa anche imparare a capire cosa vive un profugo».
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