Suicidio assistito, seconda sentenza per un marchigiano. Il giudice: «L’Asur verifichi le condizioni di Antonio»

Suicidio assistito, seconda sentenza per un marchigiano. Il giudice: «L’Asur verifichi le condizioni di Antonio»
di Federica Serfilippi
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Mercoledì 2 Febbraio 2022, 03:55

ANCONA - Dopo Mario, anche Antonio ha ottenuto il diritto essere sottoposto a una serie di verifiche per poter, eventualmente, accedere alla procedura del suicidio medicalmente assistito. Sarà l’Asur-Area Vasta 4 a dover accertare le condizioni del 43enne marchigiano, tetraplegico dal 2014 dopo un incidente stradale avvenuto fuori regione.

A stabilirlo è stata l’ordinanza emessa dal tribunale di Fermo, interpellato dagli avvocati dell’associazione Luca Coscioni a cui Antonio (nome di fantasia) si è rivolto 16 mesi fa affinché gli venga riconosciuto l’iter per poter morire con dignità, in base ai dettami della sentenza “Cappato/dj Fabo” della Corte Costituzionale, legata alla non punibilità dell’aiuto al suicidio praticato da un soggetto terzo. 


La decisione
L’ordinanza del tribunale fermano ricalca quella del palazzo di giustizia di Ancona, quando lo scorso giugno aveva imposto all’Area Vasta 2 di valutare le condizioni di Mario, altro marchigiano – anche lui 43enne tetraplegico, ex autotrasportatore – che chiede da tempo di poter porre fine alla sua vita. I giudici del caso Antonio hanno ordinato all’Area Vasta 4 di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare se il paziente «è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; se lo stesso sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; se le modalità, la metodica e farmaco prescelti siano idonei a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile».
Il diritto del malato
Secondo quanto scritto dal tribunale, nonostante la presenza di vuoti normativi, l’espressione della Consulta ha avuto come conseguenza «l’introduzione del diritto del malato a richiedere alla struttura competente il procedimento per l’accertamento delle condizioni per l’operabilità della causa di non punibilità. Ha dunque introdotto un correlativo obbligo per la struttura sanitaria». In caso contrario, si arriverebbe «ad una abrogazione tacita della pronuncia della Corte Costituzionale». 
L’iter in corso
Si è arrivati in tribunale dopo un primo diniego, apposto a fine 2020 dall’Asur, alla richiesta di Antonio di verificare, appunto, le condizioni senza cui non si potrebbe iniziare la procedura del suicidio assistito. Per l’avvocato Filomena Gallo, componente del collegio che tutela Antonio, l’ordinanza precisa che la sentenza sul caso Cappato «non si è limitata a dichiarare una condizione di non punibilità e i suoi requisiti, come sostenuto dalla difesa dell’Asur, ma ha altresì dettato dei presupposti procedurali (accertamento della struttura sanitaria pubblica e parere del comitato etico) che sono imprescindibili ai fini della non punibilità. Si tratta di procedure che coinvolgono soggetti terzi - rispetto a colui che vuole porre fine alla propria vita e da colui che verrebbe incriminato di aiuto al suicidio- che devono essere necessariamente coinvolti in un’ottica di tutela del soggetto debole». E ancora: «Il reiterato ostruzionismo dell’azienda sanitaria sta comportando una continua negazione di diritti costituzionali ma soprattutto il prolungarsi delle sofferenze dei malati». 
Il precedente
Il caso Mario è ancora pendente.

Il Comitato Etico, dopo l’ordinanza del tribunale dorico, si era riunito per verificare le condizioni del paziente, non affrontando però il tema del farmaco letale. Per sciogliere questo punto, l’Asur ha istituito una commissione di esperti.

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