Strage di Corinaldo, la motivazione delle condanne alla banda dello spray: «Criminali seriali e senza scrupoli»

Strage di Corinaldo, la motivazione delle condanne alla banda dello spray: «Criminali seriali e senza scrupoli»
Strage di Corinaldo, la motivazione delle condanne alla banda dello spray: «Criminali seriali e senza scrupoli»
di Lorenzo Sconocchini
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Venerdì 30 Ottobre 2020, 08:31

ANCONA - «Criminali seriali, dotati di elevata professionalità e organizzazione operativa nel compimento delle azioni». Ragazzi intorno a vent’anni ma già capaci di compiere una raffica di reati, anche di estrema gravità, «senza scrupoli e con elevata capacità criminale, continuando anche dopo la tragedia di Corinaldo, come se nulla fosse accaduto».

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Una banda “a geometria variabile”, quella arrestata dai carabinieri del Reparto operativo di Ancona, accomunata dalla residenza in cittadine vicine della Bassa Modenese e soprattutto da una stessa filosofia di vita: fare soldi facili, strappando catenine e braccialetti d’oro a ragazzini in discoteche affollate, per «alimentare un livello di vita polarizzato sull’uso di stupefacente, tra cui cocaina, o sull’acquisto di accessori di moda di lusso, come emerge dai loro profili social».

  
Ecco la banda dello spray al peperoncino, i bad boys della via Emilia - Ugo Di Puorto, Raffaele Mormone, Andrea Cavallari, Moez Akari, Souhaib Haddada e Badr Amouiyah - esattamente come li descrivono le motivazioni della sentenza con cui il giudice Paola Moscaroli, il 30 luglio, li ha condannati con rito abbreviato a pene tra i 10 anni e 5 mesi e i 12 anni e 4 mesi. Responsabili della strage della Lanterna Azzurra, in cui morirono schiacciati nella calca, la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018, cinque adolescenti e la mamma di quattro bambini accorsi al richiamo del trapper Sfera Ebbasta.
Le richieste dei pm
Pene meno pesanti di quelle sollecitate dai pm Paolo Gubinelli e Valentina Bavai (da 16 a 18 anni di carcere) solo perché il giudice di primo grado, che pure ha riconosciuto piena validità a tutta la ricostruzione della Procura, non ritiene che quelle intese tra le due anime della banda - Di Puorto e Mormone da una parte con un terzo complice nel frattempo morto in un incidente, Cavallari e Hakari dell’altra, con Haddada e Amouiyah interscambiabili - fossero un vincolo associativo stabile tra tutti gli imputati, tale da configurare il reato di associazione per delinquere e dunque innalzare le pene. Può darsi che ora, lette le motivazioni, la Procura di Ancona decida di impugnare sul punto la sentenza e insistere nel dimostrare che la banda dello spray fosse non soltanto una batteria di “professionisti della tecnica predatoria”, come riconosce il giudice, ma qualcosa in più caratterizzato da un’organizzazione stabile e strutturata.
Sul resto, anche per il giudice, c’è poco d’aver dubbi. Lo spray è stato usato all’interno della Lanterna Azzurra dagli strappatori di catenine per un duplice scopo, osserva il giudice Moscaroli condividendo le valutazioni del gip Carlo Cimini che nell’agosto di due anni fa firmò gli ordini d’arresto: «Evitare di essere scoperti e quindi garantirsi la fuga, creare una situazione di panico e approfittarne per strappare le collane con facilità». Nelle motivazioni si riportano decine di intercettazioni telefoniche e ambientali a riprova della colpevolezza della banda. Come la conversazione registrata dalle microspie dei carabinieri la sera del 2 marzo 2019, neanche tre mesi dopo la strage di Corinaldo, in occasione di un raid alla discoteca Studio 16 di Arquà Polesine. Mormone si dice pronto a usare di nuovo lo spray al peperoncino: «Porto il gas dentro ti giuro faccio spruzzare tutti, li faccio sparire tutti... Ormai va di nuovo di moda il gas, già l’hanno dimenticato», dice con un riferimento scontato, per il giudice, al clamore mediatico suscitato dalla tragedia della Lanterna Azzurro. 
Il Dna sul pulsante
E se è chiaro che Di Puorto ha spruzzato lo spray («gli accertamenti tecnici del Ris hanno isolato il suo Dna sul pulsante della bomboletta», argomenta il giudice), gli altri hanno poco da chiamarsi fuori, come hanno provato a fare nel processo quelli dell’altra batteria.

Se «non c’è prova che il trio Cavallari-Akari-Haddada abbia utilizzato lo spray - si legge nelle motivazioni -, è comunque pacifico che tutti erano reciprocamente consapevoli dell’altrui presenza nella discoteca, delle finalità predatorie per cui vi erano giunti e delle modalità esecutive dei delitti (mediante l’uso dello spray urticante)». Inutile anche il tentativo di scaricare tutte le colpe dell’esito tragico della fuga sulle lacune della sicurezza nella discoteca sovraffollata, oggetto di un altro filone d’inchiesta con 17 indagati per reati colposi, per i quali la Procura potrebbe chiedere presto un processo. «A fronte di una situazione di allarme e panico certamente innescata dall’uso dello spray - scrive il giudice - le carenze dei presidi di sicurezza del locale, senz’altro configurabili, hanno semmai operato in sinergia con le azioni aggressive addebitate agli imputati».

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