Spese facili in Regione, Cassazione:
«Il Gup ha sbagliato, serve processo»

Spese facili in Regione, Cassazione: «Il Gup ha sbagliato, serve processo»
di Maria Teresa Bianciardi
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Giovedì 15 Marzo 2018, 13:12 - Ultimo aggiornamento: 13:15
ANCONA - Errori di diritto, interpretazioni «distoniche rispetto alla giurisprudenza». Secondo la Corte di cassazione il giudice per l’udienza preliminare che ha prosciolto 55 indagati - tra politici e funzionari - per le spese pazze della Regione Marche, si è pronunciato su elementi probatori «suscettibili di apprezzamenti alternativi da demandare al vaglio dibattimentale». Insomma l’inchiesta sui rimborsi facili a Palazzo doveva concludersi con un regolare processo e non fermarsi un passo prima, nell’ufficio del gup del Tribunale di Ancona. Così adesso si ricomincerà dall’udienza preliminare con il rischio concreto di un rinvio a giudizio.

La doccia gelata
A gennaio era arrivata la doccia gelata della sentenza che ha riaperto il lungo capitolo giudiziario, cancellando con un colpo di spugna l’ordinanza di proscioglimento del giudice Zagoreo e ritenendo fondato il ricorso del procuratore della Repubblica. Nelle scorse ore la suprema corte ha motivato in sedici pagine la decisione di annullamento della sentenza. Tutti potrebbero essere rinviati a giudizio, dunque, tranne Andrea Filippini, per il quale la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. Il gup di Ancona aveva dichiarato il non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste» nei confronti della maggior parte dei 66 imputati di cui il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio per i reati di peculato e di truffa aggravata. Venivano contestati circa 1,2 milioni di euro di rimborsi spese ritenuti dall’accusa frutto di appropriazioni indebite di denaro pubblico. «Secondo il ricorrente - si legge in un passaggio della sentenza della Cassazione - il gup ha espresso un giudizio di non colpevolezza degli imputati, così da travalicare i poteri inerenti alla sua funzione di giudice del merito su un aspetto prettamente processuale, come quello della prova». Obiezione che la Suprema corte ha sostanzialmente condiviso. Nel dettaglio: «Non basta escludere la natura personale delle spese perché siano ammissibili a rimborso, dovendo essere utilizzate in conformità delle finalità pubbliche per le quali i relativi fondi sono stati attribuiti ai gruppi consiliari sotto la diretta responsabilità dei rispettivi presidenti».

Il nodo
Ma soprattutto deve essere demandato al vaglio dibattimentale la presentazione di prove «suscettibili di valutazioni alternative in ordine alle condotte contestate». E poi c’è il caso dell’ex consigliere regionale Paola Giorgi a cui era stata contestata la truffa aggravata in merito ai rimborsi chilometrici. È parere della Corte di cassazione che le spese di trasferimento debbano essere erogate sulla base del luogo effettivo di dimora e non sulla residenza anagrafica per «sostenere economicamente il consigliere che debba sottoporsi a spostamenti per partecipare all’assemblea». Far prevalere la residenza anagrafica a quella effettiva «consegue, a parere del Collegio , ad una inaccettabile operazione ermeneutica».
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