SENIGALLIA - Nella città-palude, quattro giorni dopo la terribile alluvione, la polvere del fango che si sgretola sotto i colpi di ruspe e vanghe entra dritta in gola assieme all’aria salmastra che aleggia dal centro alla periferia. Il casello autostradale di Senigallia è aperto al traffico, le rotatorie di Borgo Molino sono libere dai detriti: anche via IV novembre - la strada che porta al mare - è ormai percorribile.
In molti quartieri invece si continua a lavorare senza sosta per pulire strade, case, garage e negozi invasi dal fiume e dai detriti nella notte che ha sconvolto le Marche: ma quello che non ti aspetti è oltre il Foro Annonario, oltre il sottopasso Perilli che costeggia il Misa, un sottopasso che a ogni pioggia si allaga irrimediabilmente e che questa volta è reso completamente impraticabile da dune incrostate e melmose di fango.
L’onda fuori controllo
Sotto quel ponticello - giovedì notte - si è incuneata l’onda del fiume traboccante di detriti, ha preso forza nel breve tratto in discesa e totalmente fuori controllo ha spazzato via tutto quello che trovava prima di arrivare al mare.
La spiaggia diventa di fango
Dello stabilimento balneare non è rimasto nulla, il locale è stato inondato, i percorsi pedonali sono stati letteralmente trascinati via dalla corrente della piena. «Quello che è accaduto giovedì notte è molto più drammatico del 2014 e imprevedibile - riflette Ramazzotti -: in tre ore sono caduti 40 quintali di acqua, gli argini hanno retto, però il fiume è straripato ovunque. Ma il vero problema adesso sono i risarcimenti, che devono essere veloci e immediati. Il sistema usato dalla Regione Marche nella precedente alluvione va cambiato, non si può rimanere ostaggi della burocrazia. La mia azienda, per esempio, ha ottenuto il 50% del risarcimento danni solo due anni fa. Assurdo. Chiediamo a Stato e Regione di accelerare l’iter o i cittadini di Senigallia affogheranno anche nei debiti». Il cuore della movida trafitto all’improvviso: anche al “Tartana” si sta cercando di mettere in sicurezza la voragine lasciata dalla furia del fiume. Fino a giovedì sera aperitivi e divertimento, adesso Marco Mazzanti osserva quel che resta della sua attività e fatica a parlare: «Una catastrofe», mormora. E intorno si continua a scavare.