Rigopiano, inferno di neve. L’accusa della Procura: «Tenuti in trappola nell’hotel. Non hanno liberato la strada»

Rigopiano, inferno di neve. L’accusa della Procura: «Tenuti in trappola nell’hotel. Non hanno liberato la strada»
Rigopiano, inferno di neve. L’accusa della Procura: «Tenuti in trappola nell’hotel. Non hanno liberato la strada»
di Lorenzo Sconocchini
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Giovedì 24 Novembre 2022, 02:15 - Ultimo aggiornamento: 17:30

ANCONA Risuonano nell’aula udienze del tribunale di Pescara i nomi delle 29 vittime dell’Hotel Rigopiano, sepolto da una valanga il 18 gennaio 2017, e su uno schermo vengono proiettati i loro volti. Avviene per la prima volta dopo oltre due anni del processo con rito abbreviato che deve ricostruire le responsabilità di quella catastrofe sulle pendici del Gran Sasso, in cui morirono anche sei marchigiani, consumata tra mancati allarmi, pericoli sottovalutati, e vie di fuga non liberate dagli spazzaneve.  


Le pettorine bianche


Fuori dall’aula, numerosi parenti delle vittime ascoltano l’appello e si commuovono, stretti nelle pettorine bianche in cui sono stampati nomi e volti dei loro cari morti nell’albergo che sorgeva in comune di Farindola, provincia di Pescara. «Il dolore di fronte a questa tragedia è stato il motore di questa Procura e a questo dolore vogliamo dare una risposta», ha detto nella sua requisitoria il sostituto procuratore Anna Benigni, iniziando a riassumere le ragioni dell’accusa nei confronti di 25 imputati, tra amministratori locali, ex sindaci, un ex prefetto e un ex presidente della Provincia, l’allora direttore dell’hotel e diversi dirigenti regionali e provinciali. Oggi continuerà la staffetta dei pm per la requisitoria e le richieste di condanna. I reati ipotizzati vanno dal disastro colposo all’omicidio plurimo colposo, dall’abuso di ufficio al falso ideologico e i punti chiave del processo riguardano la mancata realizzazione della carta valanghe, lo sgombero delle strade di accesso all’hotel e l’allestimento in ritardo del centro coordinamento soccorsi. «Non sempre gli enti hanno a cura l’incolumità o l’interesse collettivo – ha detto ieri in aula il pm Benigni, nella prima delle tre udienza fissate per le conclusioni delle parti –.

Comune e Prefettura, Regione e Provincia, avrebbero dovuto fare il loro dovere o impedendo la costruzione dell’hotel o evacuando la struttura, così come l’unica strada disponibile avrebbe dovuto essere pulita; era l’ultima possibilità di salvare le persone dell’hotel. Quella strada invece è diventata una trappola. Come se il gestore di una discoteca facesse entrare tutti, sbarra le porte poi scoppia un incendio». 


Tra i primi corpi estratti dalle macerie c’erano quelli di una coppia di fidanzati di Castignano, in provincia di Ascoli: Marco Vagnarelli, 44 anni, operaio Whirlpool, e Paola Tomassini, barista all’Autogrill di Pedaso. Erano partiti per un weekend di relax nella Spa con vista sul Gran Sasso e poche ore prima s’erano sentiti con i familiari. «Vorremmo partire ma c’è troppa neve, aspettiamo che liberino la strada». Invece arrivò la valanga, con la potenza di quattromila tir carichi di neve e alberi sradicati.


I bambini salvati


L’apocalisse bianca d’Abruzzo aveva restituito i corpi senza vita dei coniugi osimani Domenico Di Michelangelo, poliziotto di 41 anni, e Marina Serraiocco, commerciante di 37, genitori di Samuele, bambino di 7 anni che invece venne estratto miracolosamente vivo, dopo più di 48 ore, da quel sarcofago di ghiaccio, tronchi e cemento. Era con altri tre bambini nella sala giochi, che aveva resistito come un fortino. Morirono sotto la valanga anche due giovani maceratesi: il pilota d’aereo Marco Tanda, 25 anni di Gagliole, ritrovato una settimana dopo la valanga, accanto alla fidanzata abruzzese Jessica Tinari, ed Emanuele Bonifazi di Pioraco, 31 anni receptionist del Rigopiano.

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