Indagine della Dda sui rifiuti, le intercettazioni in macchina dei dipendenti della società: «Ma dov’è la Casini? Sparita?»

Un apparato per le intercettazioni telefoniche
Un apparato per le intercettazioni telefoniche
di Luigi Miozzi
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Sabato 19 Marzo 2022, 23:22 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 21:53

ASCOLI - Oltre 17mila ore di intercettazioni ambientali carpite all’interno dell’auto di uno degli indagati e colloqui telefonici tra alcune utenze messe sotto controllo. Su questa enorme massa di intercettazioni si basa gran parte del castello accusatorio costruito dal sostituto procuratore Paolo Gubinelli, che ha ricostruito i rapporti anche con i maggiori esponenti politici del Piceno finiti nell’inchiesta.

Tra questi l’ex vice presidente della giunta regionale Anna Casini, attuale consigliera del Pd e l’ex vice presidente del consiglio della Regione Marche, Piero Celani.

Gran parte delle registrazioni facevano già parte delle oltre 450 pagine della richiesta di misure cautelari chieste dal Pm nei confronti di alcuni indagati - soprattutto dirigenti e dipendenti della Geta di altre aziende, liberi professionisti, consulenti ma nessun politico - un anno fa che però venne rigettata dal gip di Ancona Carlo Masini. Piero Celani, che secondo quanto emergerebbe dagli atti, per motivi professionali stava seguendo alcuni lavori di ristrutturazione in un albergo che l’amministratore della Geta Ivan Brandimarti aveva intenzione di avviare, entra nell’inchiesta nel febbraio del 2019. Di lì a poco, si sarebbe candidato sindaco alle elezioni di Ascoli ed è in quel periodo che verrebbero messe in atto alcune iniziative per ottenere autorizzazioni con la pubblica amministrazione.


I contatti
«Torno da Ancona e vengo lì con le carte» dice al telefono l’allora consigliere regionale parlando con un dipendente della Geta mentre in un’altra è lo stesso Celani a contattarlo dicendo che gli avrebbe dovuto «dare delle dritte». Inoltre, lo stesso dipendente della Geta parlando all’interno della propria auto con Brandimarte riferisce di aver parlato con Celani e che se fosse diventato sindaco «non avrebbe rotto le palle».

Ma era in campagna elettorale... Per gli inquirenti, i rappresentanti dell’azienda avrebbero versato mille euro in contanti a ridosso delle elezioni. La cimice all’interno dell’auto, secondo la Procura, avrebbe registrato il momento in cui l’uomo di fiducia della Geta conta le banconote e poi scende a comprare una busta dove riporle prima della consegna: «Mi sembra brutto darglieli per mano» mentre il suo collega dice: «Il giornale eh come gli dai sulla bocca». Ma siccome non era convinto, l’altro interlocutore rompe gli indugi: «Faccio un’altra cosa» quindi passa dal tabaccaio e compra una bustina bianca dove mettere i soldi che secondo gli investigatori verranno consegnati a Celani fuori da un bar.

Anna Casini, invece, entra a far parte dell’inchiesta nel marzo del 2019 quando viene intercettato un dipendente della Geta che si lamenta dell’allora vice presidente della giunta regionale che «non aveva alzato la mano» e, pertanto, non aveva ottenuto nulla in cambio nonostante avesse pagato lo stipendio a un suo collaboratore che non poteva assumere come portaborse. «Io ho detto a Ivan (Brandimarte, ndr) l’altro giorno ma dove c***o sta la Casini? Tu l’hai più sentita? Sparita?E voi gli pagavate lo stipendio…». Da queste e altre intercettazioni sarebbe pertanto emerso, per la magistratura inquirente, l’intento dei vertici della Geta di ottenere favori dalla consigliera regionale assumendo un suo collaboratore. Ma sia per Celani che per la Casini, al momento, non esiste alcuna prova fotografica o ammissione. Lo si desume solo dai colloqui fra dipendenti Geta. Sarà la magistratura a stabilire quanto attendibili.

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