Ai manager si chiede di correre ma gli assessori devono stringere. La cultura di governo stenta a decollare, Acquaroli e il morso della tarantola

Francesco Acquaroli, presidente della giunta regionale delle Marche
Francesco Acquaroli, presidente della giunta regionale delle Marche
di Andrea Taffi
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Sabato 30 Ottobre 2021, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 10:02

ANCONA - Se davvero fosse stato un problema di dirigenti, o capidipartimento come ora si dovrà dire, la questione poteva già essere derubricata. Il grande ritorno di Orsetti al supersettore dell’era Spacca dove busseranno tre assessori e il governatore; l’inserimento dell’ex ministro Bussetti con l’istituzione a effetto del settore alla Persona (vera novità di questa storia); forse l’arrivo di un dirigente forestiero (prima pareva umbro, ora si punta sulla Lombardia) per la sanità; il salvataggio dei tecnici che dovranno sempre più vestire i panni dei supermanager. Temi interessanti, per carità, ma la sostanza non si produce a colpi di decreti.

 
La nuova macchina
È davvero tutta qui la nuova macchina della regione? Sì e no: sì, perché al di là dei coup de theatre e del nuovo irrorato da un buon usato sicuro non c’è sentore di colpo d’ala e questo pare che preoccupi molto il governatore Acquaroli. No, perché - appunto - non può essere il valzer dei dirigenti a produrre un cambio di passo che si inizia a chiedere con troppa frequenza intorno al settimo piano di palazzo Raffaello. O meglio: ben vengano le novità ma se sono funzionali a un’organizzazione che produca risultati.

Che la Lega abbia ottenuto Bussetti sull’altare della riforma del personale per ora gratifica chi nelle Marche ha buoni rapporti con Salvini, nume tutelare dell’ex ministro del Conte I.

Che Fratelli d’Italia abbia potuto accontentare Acquaroli (che voleva Orsetti), Castelli (Di Bonaventura) e Goffi (Baldelli) non è certo una vittoria politica. Sono solo dati di fatto. Che Forza Italia sia scontenta perché ora Aguzzi dovrà passare dagli uffici di un capodipartimento ordinato da via Bellerio alimenterà un mal di pancia che va avanti da mesi.

Altri dati di fatto ma quanto a novità siamo sempre zero. Il gioco del tiro della giacchetta per i nuovi capidipartimento è tutto qui. Nella partita tra chi gioca a governare le Marche e chi gioca a candidarsi per le Politiche, la vera domanda è capire cosa produrrà il morso della tarantola che come un domino contagioso pare abbia svegliato un po’ tutti da una settimana a questa parte. E che gli assessori stanno cercando di spacciare personalmente con maldestra sicumera.

La stretta sull’ospedale di Pesaro dovrebbe appartenere a questo nuovo capitolo ma da qui a qualche cosa che somigli a una cultura di governo ce ne passa, su questo ne sono tutti consapevoli. Addirittura pare che anche l’Udc si sia data un tempo per aspettare (diciamo da qui ai prossimi due mesi) per poi dissotterrare l’ascia di guerra. Segnali non incoraggianti.

Il primo a rendersene conto
Il primo a rendersene conto pare sia stato proprio Acquaroli: tra l’eccesso di mediazione e il passo netto del decisore c’è una differenza che ancora non è stata colmata e che, si spera, anche con l’aiuto dei dirigenti vestiti di nuovo possa recuperare una parte importante del gap. Il messaggio, sempre pare, verrà consegnato brevi manu il 13 novembre in una seconda giornata a Fiastra che Acquaroli ha voluto per far capire che è ora di ingranare la marcia.

Ai capidipartimento si chiederà di correre e delegare, saper organizzare e saper spendere velocemente, «perché - mormora un esperto di affari del settimo piano - i soldi ci sono e devono essere messi a disposizione subito senza finire negli accantonamenti che spesso rimangono nei cassetti dei capiservizio». Che poi lo stravolgimento degli assetti interni possa essere un messaggio a tutti fa parte del gioco. A condizione che il cambio di passo ci sia per davvero.

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