ANCONA Superare i localismi nel rispetto delle singole identità per trarre vantaggi prima di tutto economici e poi sociali. È il principio della fusione dei Comuni che, dal 2014, ha cancellato diciotto municipi nelle Marche e creato otto nuove realtà di cui due per incorporazione. Piccoli Comuni diventati più grandi a cui faceva gola il 60% dei trasferimenti erariali - al massimo 2 milioni di euro - attribuiti riferendosi al 2010. Un contributo straordinario erogato per 10 anni ma che, da qualche settimana, il testo unico degli enti locali per le fusioni di comuni estende per altri cinque.
Il pro
Inoltre, i comuni fusi, a pari merito, hanno priorità nei bandi della regione e godono, dopo cinque anni, di un allentamento del Patto di stabilità.
Un piano, quello di resilienza che, recentemente riprogrammato, sta di fatto premiando più i capoluoghi e le città di una certa dimensione. Nelle Marche, i 36 mila fermani otterranno dal Pnrr 100 milioni mentre i 16 mila abitanti dell’adiacente Porto San Giorgio che, nel 1986, avevano bocciato il referendum della fusione con Fermo, solo sei. Dinamiche che si iscrivono nella scia dell’Europa, che indirizza la maggior parte dei fondi europei su Roma, Napoli, Milano e il loro hinterland o della Snai, la strategia nazionale a sostegno dei Comuni delle aree interne, che le finanzia se generano comunità insieme.
La Città Adriatica
Un’unione che vale anche per la costa marchigiana. «Magari intesa come Città Adriatica» spiega Gianluigi Mondaini, professore ordinario di composizione architettonica e urbana, responsabile della sezione architettura del Dipartimento di ingegneria civile, edile e architettura dell’Università Politecnica delle Marche. «Le città metropolitane, come i piccoli comuni, dopo tutto hanno necessità di costruire assieme delle sinergie su temi specifici ed in particolare per i servizi e possono costituirsi partendo dalla vicinanza geografica dei nuclei urbani». Questo perché sul nostro litorale dove, a partire dagli anni ’60, c’è stata una continua crescita degli insediamenti storici, non sono nate grandi città ma si è creata una saldatura fisica quasi ininterrotta da Pesaro a San Benedetto del Tronto. Escluso ovviamente la falesia del Conero dove borghi sparsi e aree naturalistiche cambiano gli assetti. Una struttura urbana marchigiana costituita da città di piccole e medie dimensioni, molto meno attrezzate in termini di massa critica, risorse e capacità organizzative rispetto alle grandi aree urbane e alle aree metropolitane italiane ed europee ma che costituisce un’area metropolitana a sé stante. «Una struttura parallela alla costa - la definisce il professore Mondaini - legata alla sua sinergia infrastrutturale che sarebbe possibile gestire in un modo diverso e più unitario».
Le prospettive
Comuni difficili da fondere ma che potrebbero in un primo tempo delegare ad un ente sovra urbano, come lo fanno i capoluoghi nel regime delle città metropolitane, la gestione dei vari servizi. Dal trasporto pubblico alla sanità, dalla gestione ambientale alle politiche turistiche. Un processo di formazione che si sta verificando anche in Romagna e pure in Abruzzo e fa della “Città Adriatica”, un’area metropolitana operativa che, nell’attuale competizione tra i territori, arma le Marche, regione in transizione.
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