Toc toc, il Pd esiste ancora? «A un anno dalle Regionali è un partito senza identità». Con il centrodestra che guida le Marche

Toc toc, il Pd esiste ancora? «A un anno dalle Regionali è un partito senza identità». Con il centrodestra che guida le Marche
Toc toc, il Pd esiste ancora? «A un anno dalle Regionali è un partito senza identità». Con il centrodestra che guida le Marche
di Martina Marinangeli
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Martedì 7 Settembre 2021, 02:00 - Ultimo aggiornamento: 10:54

ANCONA - Pare che Chi l’ha visto abbia deciso di aprire un’inedita sezione “partiti scomparsi” per mettersi sulle tracce del Pd delle Marche. Dopo la Caporetto del 21 settembre 2020, che per la prima volta in decadi ha consegnato le chiavi di Palazzo Raffaello al centrodestra, i democrat sembrano spariti dai radar, confinati in un ruolo di opposizione con cui stanno facendo fatica a prendere le misure. 

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La resistenza
A Palazzo Leopardi, i consiglieri regionali ci provano a far sventolare il vessillo - è già stata consegnata alla storia la solitaria battaglia in aula del “Rambo” Cesetti, che per due giorni consecutivi ha tenuto in scacco la maggioranza, arringando contro la riorganizzazione della macchina regionale emendamento dopo emendamento –, ma senza una cassa di risonanza sul territorio, l’azione politica sui banchi dell’assemblea legislativa rischia di restare un esercizio di stile.

In autunno si andrà a Congresso – la finestra utile per la convocazione si aprirà tra il 22 ottobre ed il 19 dicembre – e questa sera si riunisce la segreteria regionale per definire le tappe, ma intanto, ad un anno dalla sconfitta elettorale, quello che è stato partito di governo per un quarto di secolo restituisce un’immagine di sé sbiadita ed evanescente. 


Il dilemma
Che fine ha fatto il Partito democratico? «Ce lo chiediamo un po’ tutti», scherza fino ad un certo punto il deputato Mario Morgoni, che mastica politica da tempo e ha l’occhio clinico di chi i dem li conosce alla perfezione. «Ancora non abbiamo messo bene a fuoco le esigenze del Pd di oggi. Dopo le batoste prese in Regione ed in comuni come Senigallia e Macerata, si è creata una frattura con l’opinione pubblica: la priorità è ricostruire la credibilità del partito. Il rischio, però, è che il congresso non sia proiettato su questo obiettivo, bensì ad una ricomposizione degli equilibri interni. Nell’anno trascorso abbiamo sofferto di questo. Non basta un ritocco, serve un congresso che segni una fortissima discontinuità, altrimenti rischiamo di continuare a non esistere. Se non ridefiniamo una chiara identità – il monito di Morgoni – il partito di Conte potrebbe sottrarci voti». Cerca la luce in fondo al tunnel Silvana Amati, presidente dell’assemblea regionale dem: «ormai siamo alla fase finale, tra ottobre e dicembre faremo il Congresso per portare a casa una riorganizzazione articolata del partito». Ma non manca di notare che, «dopo aver perso il governo della Regione, è difficile essere in forma smagliante. C’è stata un po’ di latitanza, ma dal livello nazionale in giù si devono rimettere insieme le persone per dare vita ad un progetto collettivo». Ma quale progetto? C’è chi sta lavorando per individuare una candidatura unitaria onde evitare le solite, laceranti, divisioni interne che poi avvelenano la dialettica tra minoranza e maggioranza; altri vorrebbero spalancare le porte anche alla società civile per restituire l’immagine di un partito aperto al cambiamento.


Cosa succede
Qualcuno, aveva chiesto anche un commissariamento da Roma per scongiurare lo scenario in cui fossero sempre gli stessi mazzieri a dare le carte. Il primo fu il consigliere regionale Antonio Mastrovincenzo, che rivendica la bontà di quel percorso, mai praticato, e continua a chiedere la totale discontinuità, aggiungendo che «finora il partito non ha sostenuto il gruppo consiliare e sul territorio questa divaricazione si fa sentire». 


Fuori dal coro
Ma la vera voce fuori dal coro, che in più di un’occasione si è distinta come anima critica poco incline alla diplomazia ad ogni costo, è quella del consigliere Romano Carancini, ed anche in questo caso non fa eccezione, tratteggiando un caustico quadro delle dinamiche interne: «è da un anno che viviamo una situazione inaccettabile, con un partito assente che non dice una parola sulla scandalosa modifica del Piano socio sanitario, solo per fare un esempio. Continuiamo a replicare gli stessi metodi che ci hanno portato alla sconfitta, con i nomi dei candidati scelti dentro ad alcune stanze, sempre dalle solite persone». Colpisce a testa bassa: «dopo la sconfitta, il segretario Gostoli si sarebbe dovuto dimettere, ma a difenderlo, almeno fino a gennaio, si è schierato tutto il gruppo dirigente storico. Quindi parlo, tra gli altri, di Luciano Agostini, Matteo Ricci, Valeria Mancinelli, a cui si è accodato Maurizio Mangialardi. C’è un asse politico Ricci-Mancinelli - con sponda ad Ascoli, che non “copre” più Gostoli ma cerca alleanze – fatto da persone che al momento hanno posizioni compatibili, proiettate alle Politiche del 2023. Se trovano un candidato segretario che sta bene a tutti, viene garantita una serie di posizioni. Ma questo non è il modo giusto di avviare un percorso si cambiamento».

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