Mathias a 17 anni: «Mi facevo chiamare Xanax, rubavo cellulari e orologi. Poi mio padre mi ha beccato»

I bulli che si mettono in mostra sui social
I bulli che si mettono in mostra sui social
di Maria Teresa Bianciardi
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Venerdì 17 Dicembre 2021, 04:10 - Ultimo aggiornamento: 15:55

ANCONA - Mathias oggi ha 19 anni e due anni fa era un’altra persona, per dirla alla sua maniera. Si faceva chiamare Xanax («perchè ripetevo sempre tranqui bello, a quei poretti che mi capitavano di fronte quando avevo una giornata storta») e si sentiva un gigante, potente, indistruttibile. «Fino a quando mio padre non mi ha tagliato le gambe. E lì è cambiato tutto».


Mathias, lei a 17 anni ha scoperto di essere temuto dai suoi coetanei. Come è successo?
«Facevo Calisthenics, mi allenavo per ore in casa a corpo libero e con le sbarre che mi ero fatto regalare.

Avevo già un fisico muscoloso ed essendo alto 1,90 con due mani grandi così, non facevo fatica a spiccare nel gruppo».

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Quindi ha deciso di bullizzare i suoi coetanei.
«Non è andata proprio così. All’inizio è stato come un gioco. Ho cominciato con alcune battute, pesanti, nei confronti dei miei compagni di scuola. Quelli più timidi, che non avevano il coraggio di contrastarmi. Da alcuni di loro pretendevo che facessero per me le ricerche di Scienze, una materia che ho sempre detestato. Anche le altre, comunque... infatti sono stato bocciato due volte e alla fine mi sono ritirato».


D’accordo i compiti, le prese in giro. Ma poi ci è andato pesante.
«È successo che al bar del mio quartiere (abita a Pesaro, ndr) c’era un ragazzo che faceva il figo con l’iPhone 11 appena uscito. Lo teneva in mano e scattava foto ai suoi amici che ridevano e lui che se la tirava. Mi è andato il sangue al cervello».


Perché?
«Non so, adesso penso per invidia. Allora mi sembrava giusto punirlo per l’atteggiamento che aveva: mi infastidiva».


Cosa è successo dopo?
«Ho aspettato che lasciasse il gruppo, lo conoscevo di vista e sapevo quale era il suo scooter. Quando è arrivato l’ho bloccato e gli ho preso il cellulare, minacciandolo di non dire niente. I soldi ce li aveva: ricompratelo, gli ho detto».


E quel ragazzo?
«Si è messo a piangere ed è scappato a piedi. Ma non mi ha denunciato».


È successo altre volte?
«Sì. Ho preso un altro smartphone e mi sono fatto consegnare “volontariamente” tre orologi. Giuro, mi sentivo Dio. Poi mio padre mi ha beccato».


Si ricorda come è stato?
«Eccome. I genitori di uno di quei ragazzi a cui avevo portato via un iWatch è andato a trovarlo nell’officina dove lavorava. È tornano a casa che era una furia».


Certo, nel migliore dei casi aveva commesso un furto.
«Poteva ricomprarselo, era ricco. Non ci vedevo nulla di male. Così pensavo».


Invece?
«Mio padre mi ha costretto a riconsegnare tutto e ad andare da uno psicologo per scoprire cosa non andasse in me».


L’ha scoperto?
«Dice che ero insoddisfatto della mia vita e volevo essere chi non ero».


Invece adesso?
«Io mi sento ancora insoddisfatto, faccio un lavoro da 800 euro al mese e non mi posso permettere l’iPhone. A volte penso di rimettermi a studiare, anche se non ho la testa per stare sui libri. Ma quello che facevo due anni fa non lo rifaccio più».


Ha capito la lezione?
«Ho capito che mi è andata bene, le famiglie dei ragazzi hanno accettato le scuse e non mi hanno denunciato. Potevo finire davvero male».

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