Ochek, eritreo di 21 anni, nel viaggio d’inferno della Geo Barents: «Segregato e torturato. Non vedo l'ora di arrivare in Italia»

Ochek, eritreo di 21 anni, nel viaggio d’inferno della Geo Barents: «Segregato e torturato. Non vedo l'ora di arrivare in Italia»
Ochek, eritreo di 21 anni, nel viaggio d’inferno della Geo Barents: «Segregato e torturato. Non vedo l'ora di arrivare in Italia»
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Mercoledì 11 Gennaio 2023, 03:50 - Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 07:52

«Sono stato torturato. Mi hanno legato le mani e bruciato con una sbarra di ferro ardente. Ho il petto pieno di cicatrici. Non vedo l’ora di arrivare in Italia». Ochek ha 21 anni ed è originario dell’Eritrea. Ha impresso nella mente e sulla pelle l’inferno passato in Libia.

 

Le sevizie, l’orrore, la prigionia e un unico desiderio: fuggire via, andare lontano e provare a costruirsi un futuro. Ochek è uno di quei 73 migranti a bordo della Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere che approderà alla banchina 22 del porto dorico domani mattina. Quella di Ochek è una storia continua di fughe. La prima, a 4 anni, per arrivare in Sudan.  


La fuga


«Mia madre - racconta l’eritreo - ha deciso di andare in Sudan per salvarmi dal servizio militare.

In Eritrea i bambini di 8 o 9 anni vengono arruolati nell’esercito. Un giorno il governo ha portato via mio padre e mia madre ha avuto paura che succedesse lo stesso a me». Il Sudan è stata la sua terra per 13 anni. Poi, la Libia dopo aver pagato un intermediario. Cadde nelle mani di un trafficante. «Non avevo nessun parente in grado di mandarmi del denaro e sono stato costretto a lavorare per lui in una fattoria, con il bestiame. Non sempre mi trattava bene, così dopo 3 mesi sono fuggito». 

«Gli eritrei costretti a vivere nascosti»


La vita in Libia non è stata facile «perché gli eritrei sono costretti a vivere nascosti, se ci vedono ci rapiscono per chiedere il riscatto». Ochek è stato rapito due volte, riuscendo a fuggire. «Ero segretato in una stanza minuscola, sovraffollata. La mattina ci davano un pezzo di pane e c’era una tanica d’acqua desalinizzata, era amara. Dentro la stanza c’era un bagno e dormivamo su un fianco, uno attaccato all’altro per terra». È riuscito a fuggire e pagare un trafficante, ma in viaggio per Tripoli è stato catturato e «imprigionato di nuovo in una stanza sovraffollata. Maltrattamenti, abusi, umiliazioni erano all’ordine del giorno. Era una milizia. Siamo rimasti lì per 15/20 giorni. Fino al giorno in cui non ho lasciato la Libia ho subito torture e maltrattamenti e ho visto con i miei occhi persone picchiate e maltrattate. Ci colpivano con il fucile o ci bruciavano il petto con metalli ardenti. Ci costringevano a chiamare la famiglia per chiedere aiuto, per mandare i soldi del riscatto». Dopo 15 giorni di torture altre persone che avevano già saldato il proprio riscatto hanno pagato anche per Ochek. Lo hanno caricato su un’auto ed è arrivato a Tripoli. Con ancora le ferite dell’anima: «In Libia la tortura ti segue dentro e fuori dal carcere o nelle stanze dove ti rinchiudono. Di notte, ti puntavano una pistola alla testa, ti prendevano tutti i soldi e ti picchiavano. Vedi donne stuprate davanti a te e non puoi fare nulla. Ero pronto a morire in mare pur di non essere catturato dalla guardia costiera libica». 


La traversata


In mare è stata un’odissea. «Prima di prendere il mare, ci hanno rinchiuso tutti e 70 in una piccola stanza lontano dalla riva. Non puoi parlare, aprire la bocca o muoverti. Ci hanno fatto portare il gommone e ce lo hanno fatto mettere in mare. Siamo saltati su e abbiamo pregato. Ci siamo affidati a Dio e siamo partiti. Le onde ci portavano su e giù ma, nonostante ciò, non avevamo paura fino a che quell’uomo non ha gridato che c’era la guardia costiera libica». S’è scatenato il panico a bordo. Poi, l’arrivo della Geo Barents, nelle acque internazionali al largo della Libia. Il sogno di Ochek è a qualche miglio di distanza dalla costa dorica. «Non vedo l’ora di raggiungere l’Italia e toccare terra per iniziare a dimenticare tutto quello che ho vissuto in Libia e in Africa».

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