«Sono stato torturato. Mi hanno legato le mani e bruciato con una sbarra di ferro ardente. Ho il petto pieno di cicatrici. Non vedo l’ora di arrivare in Italia». Ochek ha 21 anni ed è originario dell’Eritrea. Ha impresso nella mente e sulla pelle l’inferno passato in Libia.
Le sevizie, l’orrore, la prigionia e un unico desiderio: fuggire via, andare lontano e provare a costruirsi un futuro. Ochek è uno di quei 73 migranti a bordo della Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere che approderà alla banchina 22 del porto dorico domani mattina. Quella di Ochek è una storia continua di fughe. La prima, a 4 anni, per arrivare in Sudan.
La fuga
«Mia madre - racconta l’eritreo - ha deciso di andare in Sudan per salvarmi dal servizio militare.
«Gli eritrei costretti a vivere nascosti»
La vita in Libia non è stata facile «perché gli eritrei sono costretti a vivere nascosti, se ci vedono ci rapiscono per chiedere il riscatto». Ochek è stato rapito due volte, riuscendo a fuggire. «Ero segretato in una stanza minuscola, sovraffollata. La mattina ci davano un pezzo di pane e c’era una tanica d’acqua desalinizzata, era amara. Dentro la stanza c’era un bagno e dormivamo su un fianco, uno attaccato all’altro per terra». È riuscito a fuggire e pagare un trafficante, ma in viaggio per Tripoli è stato catturato e «imprigionato di nuovo in una stanza sovraffollata. Maltrattamenti, abusi, umiliazioni erano all’ordine del giorno. Era una milizia. Siamo rimasti lì per 15/20 giorni. Fino al giorno in cui non ho lasciato la Libia ho subito torture e maltrattamenti e ho visto con i miei occhi persone picchiate e maltrattate. Ci colpivano con il fucile o ci bruciavano il petto con metalli ardenti. Ci costringevano a chiamare la famiglia per chiedere aiuto, per mandare i soldi del riscatto». Dopo 15 giorni di torture altre persone che avevano già saldato il proprio riscatto hanno pagato anche per Ochek. Lo hanno caricato su un’auto ed è arrivato a Tripoli. Con ancora le ferite dell’anima: «In Libia la tortura ti segue dentro e fuori dal carcere o nelle stanze dove ti rinchiudono. Di notte, ti puntavano una pistola alla testa, ti prendevano tutti i soldi e ti picchiavano. Vedi donne stuprate davanti a te e non puoi fare nulla. Ero pronto a morire in mare pur di non essere catturato dalla guardia costiera libica».
La traversata
In mare è stata un’odissea. «Prima di prendere il mare, ci hanno rinchiuso tutti e 70 in una piccola stanza lontano dalla riva. Non puoi parlare, aprire la bocca o muoverti. Ci hanno fatto portare il gommone e ce lo hanno fatto mettere in mare. Siamo saltati su e abbiamo pregato. Ci siamo affidati a Dio e siamo partiti. Le onde ci portavano su e giù ma, nonostante ciò, non avevamo paura fino a che quell’uomo non ha gridato che c’era la guardia costiera libica». S’è scatenato il panico a bordo. Poi, l’arrivo della Geo Barents, nelle acque internazionali al largo della Libia. Il sogno di Ochek è a qualche miglio di distanza dalla costa dorica. «Non vedo l’ora di raggiungere l’Italia e toccare terra per iniziare a dimenticare tutto quello che ho vissuto in Libia e in Africa».