Un mostro che uccide dal 1955: ecco perché il Misa si trasforma in killer seriale

Un mostro che uccide dal 1955: ecco perché il Misa si trasforma in killer seriale
Un mostro che uccide dal 1955: ecco perché il Misa si trasforma in killer seriale
di Martina Marinangeli
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Lunedì 19 Settembre 2022, 03:55 - Ultimo aggiornamento: 20 Settembre, 13:30

SENIGALLIA - È il 12 settembre 1955. Dopo un’intera giornata di pioggia violentissima, a Senigallia la sirena d’allarme suona alle 19,15 per avvertire la popolazione che le acque del Misa minacciano di straripare. Poco più tardi il fiume supera davvero gli argini, invadendo parte del corso e inondando le strade dei quartieri Porto e Pace. Si allaga anche la zona di via Capanna, dove l’acqua arriva dal fosso S. Angelo e devasta Ponte Rosso. Le acque alluvionali sradicano tutti i pali della luce della vallata dalle Bettolelle fino a Senigallia. Le case vengono evacuate in tutta fretta dalla polizia, ma a Casine di Ostra l’impeto del fiume si impone, trascinando con sé Amalia Contini.

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La prima vittima


Sarebbe stata la prima vittima, nella storia recente, della furia del Misa, che in 67 anni ha continuato a seminare morte e distruzione. Dopo di lei, toccò a Gabriella Massacci, di 29 anni, che intorno alle 18,30 del 19 agosto stava percorrendo in bicicletta la statale Arceviese quando venne inghiottita da un’esondazione seguita a quattro giorni di intense precipitazioni. La storia di queste alluvioni è ripercorsa anche nel libro “Misa amaro” di Giuseppe Santoni e Rossano Morici, dove si dà dettagliata testimonianza dei danni che le esondazioni del corso d’acqua maledetto hanno provocato nell’hinterland di Senigallia nel tempo. Dal 1955 ad oggi sono stati sette gli episodi alluvionali, compreso l’ultimo che, nella notte tra giovedì e venerdì, ha fatto ripiombare la città di Senigallia nell’incubo. Oltre a quelli già citati, i due negli anni Novanta (1991 e 1994), una nel marzo del 2011 e quella devastante del 3 maggio 2014.

Esondazione, quest’ultima, durante la quale hanno perso la vita quattro persone ed è ancora in corso un processo per accertare le responsabilità. «Negli anni ‘90 e nel 2011, invece, lo straripamento del Misa non provocò morti - ricorda Luciano Montesi, presidente dell’associazione Confluenze e memoria storica del territorio -. Nel 2014, la pioggia intensa durò per due settimane e solo alla fine si ruppero gli argini. In quest’ultimo evento, invece, è successo tutto in pochissime ore. Alle 22 del 15 settembre sono andato al ponte del Vallone e il Misa era al livello di magra: tre ore dopo ha allagato il centro storico, che nel 2014 era stato risparmiato. Questo dà la cifra della differenza tra i due episodi». Ora vivere serenamente con una bomba ad orologeria a due passi da casa diventa difficile: «è evidente che non possiamo stare tranquilli. Dovremmo allontanare le abitazioni dai fiumi o continueremo a piangere i morti», l’amara osservazione di Montesi. Ma cos’è che rende il Misa così pericoloso?


Le ragioni


La storia della messa in sicurezza di questo fiume è costellata di ritardi, intoppi burocratici ed inchieste giudiziarie che hanno rallentato i lavori, ma i motivi sono molteplici. «La criticità del fiume Misa è concentrata soprattutto su Senigallia, che costituisce una strettoia a deflusso delle acque - spiega Paola Pino D’Astore, consigliera nazionale della Società italiana di geologia ambientale - ma in quel bacino idrografico c’è stato un ritardo di azioni importanti e strutturali. Di base, c’è stata una mancanza di prevenzione. Risulta evidente una cronicità negli episodi di esondazione di questo fiume, quindi significa che qualcosa è mancato». Ma cosa? «La progettazione intorno a questo fiume è ferma da 40 anni. Già nel 1982 si iniziò a parlare della necessità di realizzare le vasche di laminazione, ovvero quei bacini che servono per accogliere l’acqua in eccesso quando il fiume è in piena. Ad oggi, però, non sono state completate». Il progetto prevede tre vasche di espansione e la più grande, quella di Bettolelle, ha visto partire il cantiere solo tra il maggio ed il giugno scorsi (il termine dei lavori è previsto nel 2023): durante l’esondazione nella notte tra giovedì e venerdì ha in parte raccolto le acque, essendo collocata sotto il livello del fiume, ma non è stato sufficiente. Ora bisogna capire perché, per 40 anni, non si è riusciti a portare a casa un progetto che, secondo tutti gli esperti è necessario. Ci aveva pensato l’alluvione del 2014 a ricordarlo nella maniera più traumatica possibile. 


Gli intoppi


L’allora governo Renzi, con il Piano Italia Sicura, stanziò 45 milioni di euro per il Misa, ma passarono altri quattro anni prima che potessero partire le gare per affidare i lavori. Si deve infatti aspettare fino al 2018 per l’emanazione dei bandi finalizzati ai lavori di innalzamento degli argini ed alla pulizia del letto del fiume. E, come se non bastasse, a stretto giro di posta, i cantieri si fermano perché sorgono problemi con le valutazioni di impatto ambientale. Ma i finanziamenti ci sono e, per non perderli, nel 2021, la Regione opta per una revisione del progetto e, ad aprile, affida il cantiere per le vasche di espansione proprio in zona Bettolelle, a Senigallia, proprio dove nell’apocalisse che si è scatenato nella notte di giovedì scorso ha perso la vita Gino Petrolati.

Ma un ennesimo intoppo si è profilato all’orizzonte: a giugno il Misa, insieme ad altri quattro fiumi marchigiani, è finito al centro dell’inchiesta Mystic river, che ha portato i carabinieri forestali ad arrestare per corruzione un funzionario regionale e sette imprenditori per la manutenzione e la messa in sicurezza delle aste fluviali mai realizzate. «Nel dicembre 2019 - ricorda D’Astore - l’Assemblea del contratto di fiume aveva approvato il Programma di azione per il Misa e il Nevola che prevedeva interventi strutturali e non, come sicurezza idraulica ed idrogeologica, cassa di espansione, piccoli invasi per migliorare il deflusso delle acque del fiume, manutenzioni ordinarie e straordinarie del fiume. Tutto però si è fermato. C’è stata una cattiva manutenzione, con pulizia fatta a monte ma non alla foce». Ma il problema del Misa ha radici ben più lontane nel tempo, come testimoniano le alluvioni del ‘55 e del ‘76: «in quegli anni è partita un’urbanizzazione impropria ed irresponsabile, con tombamento dei fiumi e cementificazione. Si è costruito nelle zone di versanti a rischio. La pericolosità del Misa è dovuta anche ad una deviazione del suo corso fatta per permettere di costruire intorno e garantire l’urbanizzazione. Poi quando la natura si riappropria del suo percorso e del suo letto originario - conclude l’esperta - succede quello che abbiamo visto». 

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