Le Marche in zona gialla. Acquaroli non stringe: «È il governo che decide»

Francesco Acquaroli
Francesco Acquaroli
di Martina Marinangeli
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Giovedì 5 Novembre 2020, 04:55

ANCONA  - Tre colori, tre diversi scenari di rischio e misure restrittive differenziate. Con il Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte nella notte tra martedì e ieri, il governo ha ridisegnato la cartina italiana, suddividendo le regioni in tre fasce di criticità sulla base della situazione epidemiologica e modulando su questo i provvedimenti anti Covid. Giallo per le zone dove verranno applicate le misure minime previste su tutto il territorio nazionale. Arancione per le aree dove lo scenario è considerato di «elevata gravità». Rosso per uno scenario di «massima gravità».

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Per ora, le Marche possono tirare un sospiro di sollievo: è stato lo stesso presidente del Consiglio, nella conferenza delle 20:20, a far sapere che si trovano tra le regioni contraddistinte dal colore giallo. «Dopo il Dpcm, è cambiato un presupposto – fa il punto il governatore Francesco Acquaroli –: le misure saranno omogenee in tutta la regione perché così prevede il decreto.

Quella che era un’ipotesi molto remota di fare micro zone rosse nelle Marche è per ora del tutto tramontata». Nel serrato vertice con il governo centrale andato in scena martedì, i presidenti hanno chiesto un maggior coinvolgimento nelle decisioni ed il numero uno della giunta marchigiana non ha fatto eccezione: «il confronto deve essere scientifico, soprattutto per quelle scelte che diventano borderline. Come ad esempio se rientri nella zona gialla per poco e hai una rapida ascesa del contagio, oppure sei arancione per poco perché hai avuto un focolaio particolare che però stai arginando. Dato che si tratta di condizionare una regione intera, un minimo di confronto sarebbe auspicabile». 


Definita la cornice nazionale, saranno i criteri «scientifici e oggettivi» validati dall’Istituto superiore di Sanità a fare da guida nell’adozione delle azioni di contenimento del contagio. La classificazione di una regione in uno dei tre scenari sarà decisa dal ministero della Salute con ordinanza – «sentiti i presidenti», precisa il Dpcm – sulla base di 21 parametri di riferimento, suddivisi in tre categorie: capacità di monitoraggio; capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari. Tra gli indicatori principali, l’indice Rt, il numero dei casi sintomatici, i ricoveri, la percentuale di tamponi positivi, il numero di nuovi focolai e l’occupazione dei posti letto in rapporto con la disponibilità. Il meccanismo sarà aggiornato di settimana in settimana, e le regioni potranno passare da uno scenario all’altro a seconda dei dati di contagio che presenteranno. Non è ancora ufficiale, ma l’Rt delle Marche sarebbe al momento di 1,25, quindi al di sotto della soglia di rischio.


Cosa che fa ben sperare, ma sull’altro piatto della bilancia c’è il costante aumento di ricoveri e terapie intensive, indici tra i parametri che definiscono il colore della regione. Per tenere la situazione sotto controllo, si procede con quanto previsto dal piano pandemico, con reparti Covid da attivare a scaglioni in caso di necessità. L’ospedale di Camerino, riferimento per le aree del sisma, resterà tuttavia “pulito”, ed i pazienti contagiati dal coronavirus verranno portati al Covid Hospital di Civitanova, dove viene aperto un secondo modulo.

Ma il problema numero uno, secondo l’assessore alla Sanità Filippo Saltamartini, si annida nelle case di riposo, dove i casi si stanno moltiplicando. Per questa ragione, sono stati “arruolati” due medici della Marina militare che verranno rispettivamente inviati a Villa Cozza di Macerata ed a Mogliano «dove la situazione è critica. Nelle Marche – osserva l’ex sindaco di Cingoli –, c’è stata un’estensione di contagio veramente devastante e finora ha riguardato i plessi di Mogliano, Fabriano, Jesi, Macerata, Santa Maria Nuova, Loro Piceno e San Severino Marche». Contestualmente, Saltamartini ha dato mandato alle strutture regionali di verificare se il personale delle coop e degli enti che gestiscono i servizi nelle Rsa sono muniti dei presidi di protezione poiché «con il blocco delle visite dei familiari non si spiega la diffusione massiccia dell’epidemia».

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